«Il Sistri (Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti) nasce nel 2009 su iniziativa del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare nel più ampio quadro di innovazione e modernizzazione della Pubblica amministrazione per permettere l’informatizzazione dell’intera filiera dei rifiuti speciali a livello nazionale e dei rifiuti urbani per la Regione Campania. Il Sistema semplifica le procedure e gli adempimenti riducendo i costi sostenuti dalle imprese e gestisce in modo innovativo ed efficiente un processo complesso e variegato con garanzie di maggiore trasparenza, conoscenza e prevenzione dell’illegalità». Così il sito allestito dal Ministero dell’ambiente, in riferimento a un sistema che avrebbe dovuto assestare un duro colpo alla criminalità organizzata, e in generale a chi si occupi di gestione dei rifiuti senza rispettare la normativa in vigore. Purtroppo, a guardare la realtà con una lente più precisa, si evince chiaramente che quanto scritto sul sito resta confinato al mondo delle idee. Perché i fatti sono diversi.

Siamo nel 2011, e ancora il sistema non è entrato in vigore. Anzi, dopo che migliaia di aziende si sono adeguate alle novità, sostenendo investimenti importanti, la legge non ha ancora trovato applicazione. Al contrario, in una delle prime versioni della manovra finanziaria, circa un mese fa, il Sistri era stato definitivamente stralciato. E così i tanti -tra cui l’Avis di Legnano- che avevano creduto a una buona norma, che avrebbe costituito un passo concreto verso la lotta all’illegalità in questo settore, si trovano ad aver buttato via tempo (per la formazione degli operatori) e denaro (per l’acquisto delle “blackbox”, i dispositivi che si collegano al server centrale e permettono di tracciare la movimentazione dei rifiuti). Così, in una dinamica tutta italiana (sogniamo il giorno in cui espressioni del genere cadranno in disuso), si è messo in moto un meccanismo, qualcuno ci ha guadagnato, qualcun altro ci ha perso, e tutto torna come prima, ossia al vecchio sistema cartaceo.

O forse no, perché proprio in questi giorni la commissione Bilancio al Senato ha riabilitato il sistema, stabilendo che dal prossimo 9 febbraio entrerà definitivamente in vigore. Cinque mesi di tempo a disposizione delle aziende per affrontare le difficoltà emerse nel frattempo. Già, perché l’11 maggio scorso è stato realizzato un “click day” volto a “stressare” il sistema informatico e testarne la funzionalità in caso di grande passaggio di dati (cioè quello che sarà il normale funzionamento una volta a regime). I risultati non sono stati confortanti: «Dalla mezzanotte alle 17 dell’11 maggio, secondo i dati del Ministero, gli accessi furono 121.991, con 65.985 utenti connessi. 21.762 sono state le operazioni concluse con successo. Stefania Prestigiacomo (ministro dell’Ambiente, ndr) definì la prova superata. Ma fu la sola: gli accessi non riusciti furono infatti 37mila, da parte di 18mila imprese, circa il 30% del totale. Ma secondo alcune delle associazioni coinvolte, ad avere problemi fu il 90% dei partecipanti allo stress test». Tutto da rifare insomma. E adesso, dopo tanti tira e molla, altri cinque mesi per adeguarsi alle nuove procedure, mentre molte aziende hanno già fatto richiesta per i rimborsi. Riforme a passo di gambero, cane che si morde la coda, scegliete voi l’immagine che più rappresenta questa Italia che non ne vuole proprio sapere di crescere, non in termini di indici economici e finanziari, ma nel senso di una necessaria maturità politica.