«Tutte le procedure utilizzate nella pratica clinica sono efficaci e sicure», «L’uso di tecnologie sempre più sofisticate risolverà ogni problema di salute», «Nuovo è meglio», «Fare di più aiuta a guarire e migliora la qualità della vita», «Per controllare meglio le emozioni e gli stati d’animo è utile affidarsi alle cure mediche». Quelli appena elencati sono solo alcuni dei luoghi comuni più diffusi tra pazienti e professionisti della salute, per vincere i quali è nata Slow Medicine. Un progetto culturale sottoscritto da sedici persone che, alla luce di una lunga esperienza nel settore sanitario, vissuta da prospettive diverse a seconda dei profili (qui l’elenco completo) si riconoscono nella ricerca di una medicina che sia sobria, rispettosa e giusta. Il movimento è stato presentato lo scorso 29 giugno con una conferenza stampa a Ferrara, ma il primo evento ufficiale volto ad allargare la rete di condivisione del progetto e a innescare un vero cambiamento culturale sarà un convegno che si svolgerà a Torino il 18 e 19 novembre (il programma completo è consultabile su www.slowmedicine.it alla voce “Convegno).
Questi i principali fenomeni oggetto di contestazione da parte del gruppo di professionisti, come si legge sul manifesto redatto da Andrea Gardini e sottoscritto dagli altri promotori (ne riportiamo, in forma adattata, solo alcuni):
«- la riduzione della fiducia, indotta dalla pressione del mercato sui singoli soggetti e sulle comunità, a fidarsi delle proprie capacità per affrontare in maniera non medicalizzata i problemi della propria salute e della propria vita;
il condizionamento degli obiettivi della ricerca dalle ragioni del mercato più che da quelle della salute;
la cosiddetta “aziendalizzazione”, quando attuata con criteri riduzionistici, basati solo sulla valutazione dei costi, senza una contemporanea valutazione dei benefici delle cure;
la spinta, da parte delle forze del mercato, al consumo di farmaci e presidi anche non appropriati né efficaci sulle condizioni trattate;
– la spinta verso la sicurezza delle prestazioni sanitarie (più complessa è una prestazione sanitaria, e meno appropriata rischia di essere, più pericolosa può essere per la persona e più spreco per la comunità può causare) e la conseguente campagna contro una supposta “malasanità” che fa della pessima cronaca su singoli episodi una gogna mediatica;
l’uso indiscriminato, a scopo diagnostico e terapeutico, di tecnologie biomediche sempre più raffinate, in grado di migliorare la capacità di diagnosi ma a volte incapaci di per sé di risolvere i problemi di salute;
la presenza di forti sacche di corruzione e di utilizzo distorto delle risorse pubbliche destinate alla salute di tutti».
Il concetto di slow è inteso come guerra alla fretta, in nome di una maggiore attenzione alla persona e alla sua guarigione, e non semplicemente alla cura di un sintomo o una malattia. La fretta porta ad accontentarsi di visite più veloci, il che spesso si traduce in un’eccessiva prescrizione di farmaci o di esami (nel dubbio, meglio tutelarsi) o, peggio, in errori diagnostici che possono aggravare le condizioni del paziente. Parleremo ancora di Slow Medicine, nell’attesa lasciamo alle parole di Andrea Gardini il compito di sintetizzare la filosofia del progetto: «Tirando le somme Slow Medicine è ascoltare le persone nei loro bisogni, sviluppare una metodologia clinica appropriata per indagarne le condizioni con il loro consenso veramente informato, applicare il meglio dei trattamenti appropriati e dimostrare la propria efficacia monitorando nel tempo gli esiti delle proprie azioni e non solamente le prestazioni a scopo di pagamento».