Foto di Selina Mayer

«Women should avoid dressing like sluts in order not to be victimized». Letteralmente, smettetela di vestirvi da “zoccole” e non sarete stuprate. L’opinione, non richiesta, è arrivata ad aprile da un ufficiale della polizia canadese, a commento di un’ondata di violenze sessuali nel campus della York University. Forse questi si aspettava che, da brave studentesse, le ragazze avrebbero preso appunti, testa bassa e rigare dritto. Le uniche sfere a girare, invece, sono state (in senso figurato), quelle delle donne del web. Che prima hanno indotto l’ufficiale a scusarsi pubblicamente, poi hanno innescato un battage sul web che è sfociato in una manifestazione di piazza, denominata, per l’appunto, “SlutWalk”, la marcia delle “zoccole”. Prima Toronto, Canada, dove ha preso fuoco la miccia, poi gli Usa e il Centro e Sud America, dal Nicaragua all’Honduras, fino al Brasile di Rio de Janeiro. La protesta è poi emigrata in Australia, a Melbourne, Brisbane, Canberra e Adelaide. A giugno è sbarcata in Europa, dove 5mila donne hanno sfilato a Londra, in abiti micro e con slogan espliciti: «Prendetevela con gli stupratori, non con le vittime, non importa come mi vesto». E presto potrebbe arrivare al continente asiatico, dove è in programma una SlutWalk nel mese di luglio a Nuova Delhi, India.

Giusto ieri parlavamo di quote rosa e di come queste siano, secondo noi, solo un palliativo, che non risolve il problema più grave, quello culturale. E allora ben vengano le SlutWalk, perché nessuna donna in nessun luogo al mondo dovrebbe sentirsi in pericolo, indipendentemente da come si veste. Ma, appunto, che vengano queste marce, anche in Italia. Solo due mesi fa accadeva il fatto scatenante della protesta, in Canada. Ora è già in arrivo dall’altra parte del mondo, in India. In Europa ci è passata di sfuggita, ma una fermata dalle nostre parti non si è avuta. Un peccato, perché la causa è giusta e il problema di drammatica attualità. Nel nostro Paese gli episodi di violenza sessuale si susseguono con insopportabile costanza, da Nord a Sud dello stivale. E in più abbiamo il problema delle mancate denunce. Secondo il Rapporto sulla criminalità 2007, solo il 4% delle donne denuncia il suo stupratore. Da anni insistiamo dalle pagine dei nostri organi associativi sulla necessità di una legge che preveda il processo per direttissima e pene severe per chi si renda protagonista di atti del genere. Eppure, ancora non vediamo arrivare proposte di legge serie in merito, da nessuno dei rami del Parlamento. Eppure ci sembra una battaglia ragionevole. Eppure, ancora, tra i crucci del centrodestra c’è sempre stata la questione sicurezza. Perché allora non renderla un impegno sostanziale, dando così un segnale forte alla cittadinanza? Non dimentichiamoci che per una donna, in molte città d’Italia, la sicurezza è un cruccio costante, quotidiano. Per moltissime di loro il pensiero di uscire da sole dopo una certa ora nel proprio quartiere è fonte di ansie, paure, incertezze. Essere donna diventa allora un handicap, non solo dal punto di vista lavorativo, come sottolineavamo ieri, ma anche nella sfera del privato, perché va a limitare le più banali abitudini di movimento. Nell’attesa che la politica si svegli, dopo gli schiaffi che continuamente le assesta la cronaca quotidiana, aspettiamo la prima SlutWalk italiana. Perché anche per noi “No means no”, e saremo felici di ripeterlo nel corso di un corteo cittadino.