«The whole world is watching!». Questo lo slogan ripetuto all’inizio del documentario “#whilewewatch” dai partecipanti alle manifestazioni del movimento Occupy Wall Street a New York. Il video, che si può vedere direttamente su questa pagina oppure sul sito SnagFilms, si occupa in particolare, come annuncia l’hashtag (la vecchia “parola chiave”, ma nel gergo di Twitter) nel titolo, del ruolo dei social media nello sviluppo dell’occupazione e nella conquista di visibilità. In 38 minuti, il film cerca di raccontare come grazie al lavoro degli attivisti attraverso blog, tweet, video diffusi in rete e altre forme d’informazione autoprodotta il movimento è riuscito a portare avanti le proprie iniziative di protesta contro le iniquità prodotte dal sistema economico e finanziario che ha portato all’attuale crisi globale.

Il tema dell’informazione in rete sarà peraltro sviluppato proprio oggi al primo appuntamento della rassegna “Social Media Week”, che si apre a Torino con la giornata dal titolo #partecipare (quella dell’hashtag è una moda sempre più diffusa nei titoli di ogni tipo di iniziativa). «Le nuove politiche di partecipazione e di relazione basate sui media digitali -si legge sul sito della manifestazione- e i dati da queste derivabili aprono infatti scenari innovativi che spaziano dal volontariato alla partecipazione politica, con cittadini sempre più attori informati di quello che li circonda. Il rapporto tra Pubblica Amministrazione e cittadinanza sarà indagato attraverso esperienze di collaborazione basate su aspetti concreti, normative, visioni e progettualità: dalla privacy agli open data».

Molte le tracce che saranno sviluppate a partire dall’attuale disponibilità di piattaforme di partecipazione in rete. Che hanno pro e contro, come la difficile gestione di una realtà fin troppo caotica per numero di messaggi scambiati, contatti da gestire e iniziative da seguire. Maurizio Ferraris, filosofo, e Paolo Valdemarin, esperto di media digitali, proveranno a esplorare l’universo di Path, «nuova piattaforma di condivisione recentemente lanciata a San Francisco, che si propone come vera e propria alternativa al magma caotico prodotto da post e cinguettii, offrendo ai suoi utenti la possibilità di condividere contenuti con cerchie decisamente più ristrette di amici. Una modalità che sembra riprendere le teorie dell’antropologo Robin Dunbar: un limite cognitivo di natura teorica fisserebbe infatti a 150 la cifra complessiva massima di persone con cui è possibile instaurare relazioni sociali stabili. E il cosiddetto numero di Dunbar resta valido anche online. A partire dalla presentazione di questa nuova piattaforma, la conversazione si apre alla riflessione sulle nuove forme di relazione, sulle community digitali e sulle mutazioni prodotte nella definizione dell’esperienza dei rapporti sociali da quando milioni di persone vivono in rete».