La proliferazione dei social media ha causato un declino della salute mentale? Alcuni ricercatori sostengono di sì, citando l’associazione tra l’uso dei social media e l’evoluzione di problemi di salute mentale come la depressione. Altri hanno contestato questo punto di vista, sostenendo che questa associazione sia inconsistente e troppo piccola per essere significativa. Lo spiega la psicologa clinica e docente Jacqueline Nesi su Psyche.
Questo dibattito assume un ulteriore significato quando consideriamo i potenziali effetti dell’uso dei social media sul rischio di suicidio. Tra il 1999 e il 2018, il tasso di suicidio negli Stati Uniti è aumentato del 35 per cento. Tra le femmine, le ragazze dai 10 ai 14 anni hanno il più basso rischio di suicidio – ma questo periodo ha visto un aumento di quattro volte del loro tasso di suicidio. Allo stesso tempo, l’uso dei social media è aumentato esponenzialmente.
Questi aumenti del rischio di suicidio e l’uso dei social media sono collegati? Nonostante il prevalente sentimento negativo rispetto social media, la verità è che non lo sappiamo, spiega Nesi. Il suicidio è un fenomeno complesso, e non è quasi mai un singolo fattore a determinarlo.
Quando cerchiamo di rispondere a questa domanda, ci fermiamo spesso ai valori medi: tra persone, esperienze, piattaforme, tempo.
Immaginate che venga posta la seguente domanda, propone Nesi: la quantità di cibo che le persone mangiano è associata alla loro salute? Per rispondere, ipotizziamo di fare un sondaggio su un campione casuale di persone su quanto cibo mangiano di solito, chiedendo loro anche di valutare la loro salute.
Quando si osserva l’associazione media tra consumo di cibo e salute in questo ipotetico studio, cosa si trova? Forse nulla. Questo perché, sepolta in quella media, c’è un’incredibile varietà di cibi e persone, e alcuni comportamenti dannosi, come mangiare troppo o troppo poco.
La quantità di cibo che una persona mangia è correlata positivamente alla sua salute? Se quel cibo è ben bilanciato, probabilmente sì. Se si tratta di gelato a ogni pasto, probabilmente no.
Questa mancanza di una solida associazione non significa che il cibo non è importante per la salute delle persone, bensì che si stanno ponendo le domande sbagliate. Quando pensiamo agli effetti sulla salute di qualcosa di così ampio come “mangiare cibo”, la risposta è che dipende.
Lo stesso vale per gli studi che si sono proposti di indagare le associazioni tra l’uso dei social media e la salute mentale, e che da essi hanno ottenuto solo delle medie, che nascondono informazioni critiche sulle singole persone, e sui loro comportamenti ed esperienze specifiche sui social media.
«Io e i miei colleghi – spiega Nesi – abbiamo deciso di documentare ciò che si sa sulle associazioni tra l’uso dei social media e i pensieri suicidi, i tentativi di suicidio e l’autolesionismo non suicida. Abbiamo condotto una meta-analisi, una revisione sistematica e un’analisi quantitativa degli studi pubblicati su questo tema finora. Combinando i risultati di questa meta-analisi con altre revisioni recenti troviamo che, al di fuori dei casi estermi – cioè quando l’uso eccessivo dei social network arriva a interferire con il funzionamento quotidiano della persona – la frequenza media con cui gli individui usano i social media non è associata in modo affidabile alla tendenza suicida. Questo sembra valere sia per gli adulti che per gli adolescenti, e su piattaforme che vanno dai forum online ai messaggi di testo a siti come Instagram e Facebook. Invece, ci stiamo accorgendo che ogni effetto dell’uso dei social media sul rischio di suicidio dipende da chi li usa e come».
Basandosi solo sulla frequenza media d’uso si trascurano per esempio le conseguenze emotive di esperienze come la “cybervittimizzazione”, e su come questa influenzi gli in modo diverso adolescenti. Mentre per alcuni giovani la distanza emotiva consentita dall’affrontare il proprio molestatore su un telefono e non nel corridoio della scuola attenua il problema, per altri i social media amplificano questa dolorosa esperienza, rendendola più pubblica e ineluttabile.
Ma il cyberbullismo è solo una delle possibili esperienze sui social media rilevanti rispetto al rischio di suicidio. Un altro è la creazione o il consumo di contenuti esplicitamente legati al suicidio, inclusi post, messaggi e video con riferimenti visivi o testuali al tema. La meta-analisi del gruppo di lavoro di Nesi suggerisce che sia gli individui che pubblicano contenuti legati al suicidio sia coloro che vi sono esposti riportano livelli più alti di tendenze suicide e probabilità di tentativi.
Inoltre, le teorie del cosiddetto contagio del suicidio suggeriscono che l’esposizione alle informazioni su un suicidio in una comunità potrebbe aumentare il rischio di suicidio tra gli individui vulnerabili, specialmente gli adolescenti. Questi effetti sono più probabili quando le informazioni esaltano il suicidio o forniscono dettagli sui metodi di suicidio. Nella misura in cui gli individui a rischio incontrano questo tipo di contenuti online, spiega Nesi, potremmo avere ragione di essere preoccupati.
La risposta, allora, può essere tenere le persone a rischio di suicidio fuori dai social media, o eliminare tutti i contenuti legati al suicidio da queste piattaforme? Un tale approccio non terrebbe conto dei potenziali benefici dei social media: il loro uso per fornire informazioni sul rischio di suicidio, per ridurre lo stigma e promuovere l’accesso a risorse e cure è forse uno dei suoi maggiori vantaggi nel contesto della salute mentale.
Quando le persone ricevono supporto in seguito alla condivisione di contenuti legati al suicidio online, il risultato è molto efficace. Tale supporto potrebbe includere informazioni sui segnali di pericolo di suicidio da parte di organizzazioni di salute mentale, post di amici e celebrità sulle battaglie personali rispetto alla salute mentale, o semplicemente messaggi di sostegno da parte di un amico. La connessione sociale è un importante fattore protettivo contro il rischio di suicidio, e i social media sono un luogo di supporto sociale che è sia immediato che accessibile. Le persone possono accedere al supporto di una comunità di pari a cui non avrebbero mai avuto accesso offline, compresi quelli con esperienze e identità condivise.
Gli effetti dell’uso dei social media sulla salute mentale sono complessi, conclude Nesi. Per alcuni i social media saranno un’ancora di salvezza, collegandoli ad amici, familiari o sconosciuti nei momenti di bisogno. Per altri saranno una minaccia, esponendoli a contenuti scatenanti o molestie. La maggior parte delle volte saranno entrambe le cose, a seconda di quando e come vengono usati. Tutte queste sono sfumature che si perdono quando si considera solo una media.
(Foto di Maria Teneva su Unsplash )
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