16.518. Questa la misura dell’insuccesso del provvedimento che ha sostituito il finanziamento pubblico ai partiti con la possibilità per i contribuenti di fare una donazione volontaria nella dichiarazione dei redditi. La riforma voluta da Enrico Letta durante il suo governo, prevedeva infatti l’abolizione dei rimborsi elettorali, in favore di una possibilità per i cittadini di destinare il 2 per mille della propria Irpef (soldi quindi già dovuti allo Stato) ai partiti politici. In questi giorni sono stati resi noti i risultati relativi alla dichiarazione dei redditi 2014, la prima in cui è stato possibile fare questa scelta, e i dati raccolti sono piuttosto impietosi.
Solo 16.518 persone hanno barrato la casella corrispondente, per un ammontare totale che non arriva a 400mila euro. Niente a che vedere con i milioni di euro che puntualmente piovevano nelle case dei partiti fino a un anno fa. L’imbarazzante risultato è lo specchio della fiducia dei cittadini nelle istituzioni che un tempo erano il soggetto politico principale in cui riconoscersi, a cui affidare i propri ideali e di cui sposare l’ideologia: i partiti. Si potrà dire che il problema sta nello strumento scelto per fare la donazione volontaria. Forse molte persone non erano a conoscenza della riforma prima di arrivare a compilare la dichiarazione dei redditi, il che li ha forse dissuasi dal decidere di approfondire la cosa.
A questa ipotesi si potrà facilmente obiettare che uno strumento identico, il 5 per mille, ha invece ottenuto un successo enorme presso i contribuenti, e anzi ogni anno (come spesso abbiamo scritto) si pone il problema di ottenere che tutte le preferenze espresse diano effettivamente luogo a un trasferimento di denaro. L’imposizione di un tetto massimo di spesa ha infatti depotenziato di molto l’efficacia di uno strumento che riscuote successi crescenti. Nonostante questo, come fa notare anche Carlo Mazzini sul suo blog, il non profit riceve i soldi a esso destinati con due anni di ritardo, mentre per i partiti il versamento sarà immediato: «Perché i partiti ottengono già ora i soldi delle dichiarazioni 2014 quando il non profit per ottenere i soldi dalle stesse dichiarazioni deve aspettare fino a ottobre 2016? Perché lo dice la legge. E chi l’ha scritta la legge? I partiti politici! Ah, beh. Diciamolo con la pubblicità: “Ti piace vincere facile?” Facendo le debite proporzioni, il non profit vince 1.000 a 1, nel senso che per ogni “donatore” a favore dei partiti politici ce ne sono altri 999 che preferiscono il non profit».
La gente non vuole più finanziare i partiti (o per lo meno, non questi), non c’è più alcun senso di appartenenza verso quelle che sono percepite ormai come strutture vuote, dove ognuno cerca di tenersi il pezzettino di potere che si è conquistato. Sarebbe da capire quale altro tipo di soggetto politico immaginano i cittadini al posto dei partiti. Oppure, se vogliamo che questi esistano ancora, quale sia un modo di finanziarli che metta d’accordo anche chi è colto da mal di pancia solo a sentire parlare di “finanziamento pubblico”. Il Movimento 5 Stelle, che rappresenta una novità da questo punto di vista (e infatti tiene a ribadire di non essere un partito), ha scelto una struttura leggera, che si regge sulle donazioni volontarie (oltre che probabilmente sui proventi del sito beppegrillo.it). È questa la strada da seguire? Potrebbe essere. La soluzione alternativa è quella dei finanziamenti privati, del lobbying all’americana. Ma ci sarebbe chi storcerebbe il naso, visto che non siamo negli Stati Uniti e ai cittadini italiani non piace l’idea che un lobbista ricopra di soldi un partito per ottenere in cambio una politica conciliante con i propri interessi.
Forse un’altra possibilità, più difficile da conseguire e meno tecnica, sarebbe quella di ridare un contenuto alla parola “partito”, facendo in modo che esso torni a essere non un centro di potere ma una scuola di politica e di cittadinanza, dove imparare a confrontarsi e a far valere le proprie idee rispettando quelle altrui. Allora forse si costruirà una politica sana, che sia anche in grado di redistribuirsi il denaro versato dai contribuenti senza che nessuno sia per questo assalito da un senso di repulsione.