Flying money
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Grazie a un’attenta analisi di Gian Antonio Stella, qualche giorno fa è stato portato alla luce il fatto che il pluricitato “tetto alle pensioni d’oro” non entrerà mai in vigore. Questo perché dalla legge che doveva istituirlo è sparito il comma che prevedeva di bloccare il meccanismo che consente l’accumulo senza fine di contributi anche oltre i limiti previsti dal vecchio sistema retributivo. «In ogni caso per i soggetti di cui al presente comma», diceva il passaggio misteriosamente scomparso, «il complessivo importo della pensione alla liquidazione non può risultare comunque superiore a quello derivante dall’applicazione delle regole di calcolo vigenti prima dell’entrata in vigore del presente comma».

«Arabo, per chi non conosce il linguaggio burocratico – scrive Stella–. Proviamo a tradurlo senza entrare nei tecnicismi: quelli che potevano andarsene con il vitalizio più alto (40 anni di contributi) ma restavano in servizio potevano sì incrementare ancora la futura pensione (più soldi guadagni più soldi versi di contributi quindi più alta è la rendita: ovvio) ma non sfondare l’unico argine che esisteva per le pensioni costruite col vecchio sistema: l’80 per cento dell’ultimo stipendio. Poteva pure essere una pensione stratosferica, ma l’80 per cento della media delle ultime buste paga non poteva superarlo». Spezzato questo vincolo, per circa 160mila persone (per lo più docenti universitari, magistrati, alti funzionari dello Stato) c’è la possibilità di continuare a lavorare oltre i quarant’anni di anzianità, e continuare ad accumulare contributi che andranno a comporre una pensione che in qualche caso potrà superare l’importo dell’ultimo stipendio percepito.

Di fronte a tanta insidiosa burocrazia, tornano in mente le parole dell’ormai ex commissario alla revisione della spesa, Carlo Cottarelli, quando dichiarava a La Stampa che una delle più gravi difficoltà per il suo lavoro (e per il bene dell’Italia) era costituita dalla burocrazia: «Occorrerebbe cambiare la testa di chi scrive le leggi, mi rendo conto che non è semplice. Sarebbe un passo avanti se i collaboratori più stretti dei ministri controllassero meglio i testi che vengono approvati. E poi in Italia si fanno troppe leggi. Ogni settimana si sente l’urgenza di scriverne qualcuna. Più ce ne sono, più è difficile applicarle, maggiore è il livello di discrezionalità». Parole molto appropriate, forse non nuove, ma attualissime, visto che la legge in questione, la numero 214 del 2011, voluta da Elsa Fornero, si compone di «un testo logorroico di quasi 18 mila parole più tabelle – prosegue Stella –. Un testo cioè lungo quasi il doppio del “Manifesto del partito comunista” di Marx ed Engels, il doppio esatto della Carta Costituzionale, cinque volte di più del discorso di inaugurazione del Concilio Ecumenico Vaticano II. Per non dire del delirio burocratese. Con l’apparizione ad esempio dei commi 13-quinquies e 13-sexies e 13-septies e 13-octies e 13-novies e perfino 13-decies. Ciascuno dei quali impenetrabile per chiunque non sia vaccinato contro la burocratite acuta».

Al di là dell’indignazione per quei 160mila privilegiati che potranno avvantaggiarsi da questa falla, si pone un grosso problema economico per lo Stato, perché l’aumento della spesa per coprire questi vitalizi sarà crescente nel corso degli anni. Stella calcola il costo in «2 milioni quest’anno, 11 l’anno prossimo, 44 fra due anni, 93 fra quattro e così via. Fino a una voragine fra nove anni di 493 milioni di euro. Per un totale complessivo, come dicevamo, di oltre due miliardi e mezzo da qui al 2024». Possiamo solo immaginare quanti di questi “buchi” circolino tra le carte che ogni giorno vengono licenziate dalla verbosità della politica. Il modo migliore di nascondere qualcosa è sempre metterla in mezzo ad altri oggetti simili, affinché allo sguardo risulti impossibile distinguere quel qualcosa (o la sua assenza) dal resto. Fiumi di parole oscure, per nascondere cristallini esempi di ingiustizia.