Ultimamente va di moda la formula spending review, ma nella sostanza non si tratta di nulla di troppo diverso da quella che chiamavamo austerity, o ancora “sobrietà”. In sintesi, contenere le falle di bilancio che porterebbero a picco il sistema Italia. Dalla cruna di questo ago dovranno passare tutti i capitoli di spesa, non ultimo quello della sanità, che ogni anno divora milioni di euro alle casse delle Regioni. Il principio portato avanti in questi casi per giustificare la contrazione dei servizi è sempre lo stesso: “staremo tutti un po’ peggio di prima, ma almeno sarà evitato il disastro”.

Ma dietro ogni problema c’è un’opportunità, diceva Galileo Galilei. E sarebbe bene tenerlo a mente in questi momenti di difficoltà. Talvolta porsi il problema di una spesa può essere l’occasione di scoprire che c’è un modo per offrire lo stesso servizio (o uno migliore) a un costo minore. Un esempio è offerto dalla cura di una malattia dell’occhio diffusa fra gli anziani, per cui «il trattamento con un farmaco innovativo costa 70 volte meno di quello con il medicinale» attualmente utilizzato. Il passaggio porterebbe a un risparmio calcolato in 200 milioni di euro l’anno, una cifra da non trascurare di questi tempi (soprattutto pensando al fatto che sicuramente ci sono altri casi simili nel mondo della medicina).

La questione è stata sollevata da Nerina Dirindin, docente di Economia pubblica e di Scienza delle finanze all’Università di Torino e Nicola Magrini, direttore del Ceveas, Centro per la valutazione dell’efficacia dell’assistenza sanitaria azienda Usl Modena, illustrando il caso “Avastin-Lucentis”, i due farmaci qui considerati. «Avastin (bevacizumab) -si legge su sanitanews.it- è un anti-cancro innovativo, in uso ormai da qualche anno e autorizzato per il trattamento del tumore del colon-retto. È da tempo riconosciuto dalla letteratura scientifica internazionale come efficace anche nella terapia della degenerazione maculare senile, patologia dell’occhio legata all’età. Non è però ufficialmente autorizzato per la cura di questa patologia; Roche, la società farmaceutica che lo produce, non ha infatti richiesto l’autorizzazione all’Aifa (Associazione italiana per il farmaco, ndr). Avastin non può nemmeno essere prescritto al di fuori delle indicazioni autorizzate (off-label), perché in questo caso una terapia esiste già: Lucentis (ranibizumab), il cui uso è però 70 volte più costoso. Un anno di trattamento con Lucentis costa infatti quasi 14mila euro, con bevacizumab meno di 200 euro, sottolineano i due esperti».

In casi simili emergono tutti i limiti della politica rispetto al mercato, che ormai muove numeri assai più grandi di quelli dei governi e con maggiore libertà. E intanto siamo qui a leggere una bozza di decreto che parla di tagliare 30mila posti letto, chiudere gli ospedali con meno di 120 posti, tagliare del 5 per cento le spese di acquisto di beni e servizi da parte della sanità pubblica. Francamente non un granché rispetto a ciò che si potrebbe fare interagendo maggiormente col privato per favorire soluzioni più costruttive ai problemi. E trasformarli, una buona volta, in opportunità.