Una questione etica che appassiona gli italiani (più che i cittadini di altri Paesi europei) è la sperimentazione animale per la ricerca scientifica. Nel parlare, come sempre, “alla pancia” della gente, la politica è andata oltre le restrizioni previste dall’Unione europea per la tutela degli animali utilizzati in laboratorio, al punto che la Commissione europea ha avviato una procedura d’infrazione nei confronti del nostro Paese. Il decreto legislativo di recepimento della direttiva comunitaria in tema di sperimentazione animale (il numero 26 del 2014) ha avuto infatti un impatto molto negativo sulla ricerca scientifica italiana, introducendo alcune procedure e criteri che mettono il nostro Paese in una posizione di svantaggio rispetto alle norme che regolano la materia nel resto dell’Unione.

Nessuno, ovviamente, prova piacere nel pensare che degli animali possano essere sacrificati ai fini della ricerca. Tuttavia non esistono al momento validi sistemi alternativi per arrivare a conoscere con relativa certezza gli effetti di un farmaco o altro tipo di prodotto destinato all’uomo. Nei mesi scorsi ha fatto notizia il caso di sei cittadini francesi che, avendo partecipato come cavie a un percorso di sperimentazione su un nuovo farmaco, hanno avuto effetti collaterali gravi, tanto che uno di loro ha perso la vita. Immaginiamoci cosa accadrebbe se prima di arrivare ai test su esseri umani non si passasse (o si limitasse ulteriormente) l’utilizzo di animali nella ricerca.

L’altra strada è fermare tutto e interrompere la ricerca, ma sarebbe una scelta folle e inaccettabile. Peraltro, interrompere ora la sperimentazione animale vorrebbe dire lasciare sul mercato un gran numero di prodotti che nel loro percorso di studio sono stati testati su animali. Se da un giorno all’altro dovessero sparire dai banconi delle farmacie tutti i prodotti nati grazie alla sperimentazione animale, probabilmente la nostra possibilità di curarci si arresterebbe bruscamente e la qualità della nostra salute cadrebbe molto velocemente.

Il biologo Michele De Luca riflette sull’argomento sulla Domenica del Sole 24 Ore, soffermandosi sui punti deboli e le contraddizioni del decreto che attualmente regola la sperimentazione animale in Italia: «Emblematici in tal senso sono il divieto di trapianto di organi e tessuti umani in modelli animali, che penalizza importantissimi filoni della ricerca medica, il divieto di utilizzare gli animali per più di una procedura di test, che impone necessariamente un incremento del numero degli animali coinvolti, e il divieto di allevamento di alcune specie, aggirabile peraltro importando i medesimi animali dall’estero».

Già prima del decreto del 2014 nei laboratori si operava con criteri etici nei confronti degli animali, frutto della riflessione medica e contenuti nei codici deontologici che regolano la professione. Che poi ci siano stati, o ci siano, casi di violazione delle norme e delle regole professionali è probabile, come in ogni settore. Ma per come ha agito la politica sembra che, per correggere il comportamento scorretto di pochi, a rimetterci sia la salute di tutti. «Nessuno pretende di utilizzare animali in laboratorio indiscriminatamente e senza che ce ne sia strettamente bisogno – prosegue De Luca –, considerato che da molto tempo qualsiasi ricerca non può non tener conto del cosiddetto “principio delle 3R”. Ovvero, ogni ricercatore deve cercare di: rimpiazzare il modello animale con metodologie alternative (cioè per il momento in pochissimi casi e non certo per ricerche farmacologiche in cui si indaga il meccanismo di azione e di interazione dentro un sistema vivente complesso), ridurre il numero di animali utilizzati e rifinire, e quindi migliorare, le condizioni sperimentali a cui sono sottoposti gli animali (che vengono già allevati in stabulari certificati e accreditati da personale altamente specializzato e impiegati da ricercatori che hanno a cuore il loro benessere anche più dei comuni cittadini, se non altro perché più gli animali vengono rispettati più i dati che si ricavano dagli esperimenti risultano veritieri)».

La senatrice Elena Cattaneo vede nella procedura d’infrazione un’opportunità per accelerare un processo di rientro nei principi della direttiva europea che avrebbe dovuto già essere avviato, visto che le criticità della normativa italiana erano già state evidenziate dalla Commissione sanità del Senato. «Per scongiurare sul nascere ogni ipotesi di ulteriore condanna dell’Italia in sede europea, il Parlamento italiano ha l’opportunità, nella Legge europea 2015 in discussione, strumento legislativo annuale “salva-infrazioni”, di approvare un emendamento che elimini i divieti illegittimi contestati. È doveroso farlo, prima ancora che per ragioni legali, per consentire ai ricercatori italiani di competere con pari possibilità e dignità con i colleghi europei. Ed è doveroso farlo per una libera ricerca che studia ogni giorno per dare nuove opportunità di cura e conoscenza». È certamente una questione complessa, che si scontra con sensibilità diverse all’interno della popolazione. Una riflessione razionale impedisce però di semplificare il tutto in slogan vuoti e fuorvianti. “Contrari alla sperimentazione animale”, teoricamente, lo siamo tutti. Ma quali sono oggi le alternative concrete?

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