Dopo i complimenti del presidente Giorgio Napolitano al ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, aspettiamo di vedere da quest’ultimo come intende intervenire in merito al taglio della spesa pubblica. Intanto, partiamo dalle considerazioni del presidente della Corte dei conti (noto ente eversivo) Luigi Giampaolino, che nella relazione sul rendiconto 2012 descrive come «indifferibile» una «revisione e razionalizzazione della spesa e degli apparati pubblici», sottolineando «l’esaurimento dei margini offerti dal ricorso ai tagli lineari» che hanno provocato guasti nell’offerta di servizi. Ma -ha evidenziato il presidente di sezione Rita Arrigoni- è difficile anche una riduzione della pressione fiscale, passata dal 42,6 al 44 per cento e «superiore di 3 punti alla media». Non finisce qui (e ci auguriamo che tali considerazioni siano arrivate anche al ministro), perché la Corte suggerisce di procedere con «modalità di indagine in grado di scavare all’interno delle singole amministrazioni, così da predisporre le condizioni per effettuare interventi di correzione e di regolazione mirate». C’è poi la questione della speculazione, su cui manca una normativa specifica. Il ricorso ai derivati da parte di enti locali e dello Stato ha bisogno di massima trasparenza: è necessario che la questione sia valutata da governo e Parlamento «per mettere al riparo i conti da inaspettate perdite e per evitare dannose manovre speculative», ha detto il procuratore generale della Corte dei Conti Salvatore Nottola.
Il governo dei rinvii, come l’ha definito qualcuno, dovrà a un certo punto decidere qual è la sua linea di indirizzo. Per il momento, appunto, si sono decisi alcuni differimenti (aumento dell’Iva, riscossione dell’Imu), ma in autunno ci saranno altre scadenze che andranno a sovrapporsi e allora i nodi verranno al pettine, e saranno dolori. Non vorremmo che il prezzo delle “larghe intese” dovesse ricadere indistintamente sugli italiani. A quel punto tanto valeva buttare tutto alle ortiche e rivotare. Ah, già, c’è ancora il Porcellum, quasi dimenticavamo. Certo, ora che non ne parla più nessuno può capitare che esca di mente. Come fa notare Sergio Rizzo sul Corriere della sera, c’è un grosso problema relativo alla gestione di servizi da parte di aziende a partecipazione statale. Una ventina d’anni fa, anche a causa dei parametri di Maastricht, era stata avviata la stagione delle privatizzazioni, con tutti i suoi limiti, ma poi essa si è bloccata e si è tornati all’assegnazione di poltrone pubbliche molto care. «Lo Stato ha ripreso a dilagare nell’economia -scrive Rizzo- con la proliferazione di migliaia di società di capitali controllate dalle amministrazioni locali che hanno garantito poltrone, gettoni e stipendi a un esercito di 38mila fra amministratori, sindaci e alti dirigenti scelti dai partiti. Incalcolabile è lo spreco di risorse, mentre ogni tentativo serio di liberalizzazione è stato sempre respinto e il costo dei servizi pubblici ha battuto ogni record continentale». Come sempre in Italia si massimizzano le debolezze del sistema, riducendone ai minimi termini i potenziali vantaggi. Si parla di blocco delle retribuzioni per gli statali nel 2014, ma di “tagliare un po’ di teste” in quelle posizioni di potere strapagate non si è sentito nulla.
Il viceministro all’Economia, Stefano Fassina, ha indicato come terreno di intervento «le società controllate da Regioni, Comuni e Province perché la spesa per l’acquisto di beni e servizi deve essere centralizzata e ridotta sensibilmente». Gli risponde a distanza Rizzo: «I famosi prezzi standard del servizio sanitario, ricordate? Nessuno ne parla più. Così come la concentrazione degli acquisti pubblici che potrebbe far risparmiare 30 miliardi l’anno è vanificata, rimarca la Corte dei conti, dalla polverizzazione allucinante delle stazioni appaltanti: oltre 23 mila». Per il momento restiamo in attesa, e già temiamo le manovre approvate in piena estate, mentre i media rincorrono le scappatelle estive dei vip e gli italiani cercano giustamente rifugio dal tran tran quotidiano sotto un ombrellone.