«La tutela della salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività è garantita, nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana, attraverso il Servizio sanitario nazionale». Così l’articolo 1 del decreto legislativo n. 502 del 1992 in materia di riordino della disciplina sanitaria. La Corte dei conti, nella sua analisi sul rendiconto generale dello Stato 2010, ci dice però che questo principio è tutt’altro che corrispondente alla realtà. Al di là delle eccellenze, infatti, nel nostro Paese la situazione effettiva non è molto diversa da quella, per esempio, degli Stati Uniti, in cui il livello di assistenza è commisurato a quello del contratto di assicurazione stipulato dall’assistito. Chi si può permettere una polizza più costosa, gode di servizi più completi, a scapito di chi si trova in difficoltà economiche. Di fatto, qui da noi, le inefficienze nella gestione delle risorse sanitarie tendono ad allontanare il cittadino dalle strutture pubbliche e ad avvicinarlo a quelle private.
I posti residenziali per disabili ogni mille abitanti si attestano su livelli compresi tra lo 0,1 del Veneto e l’1,2 per mille di Liguria e Basilicata. Nel 2009 il tasso di ospedalizzazione (il numero dei ricoveri diviso il numero complessivo della popolazione che fa riferimento alla struttura) variava, a livello regionale, dal massimo della Campania (233) al minimo del Friuli (149). Rispetto allo standard di 180 per mille, solo otto regioni risultati uguali o inferiori. Forti le differenze tra Nord e Sud nel trattamento di determinati casi. È il caso della frattura del femore, che per un pieno recupero richiede un intervento tempestivo, o dei test di screening di primo livello per prevenire patologie oncologiche. Secondo la Corte, si tratta di un problema di gestione da parte delle strutture: «Ai differenti risultati economici e ai crescenti squilibri finanziari sono spesso associate una evidente inappropriatezza delle prestazioni e una minor qualità dei servizi resi». Nelle situazioni regionali in cui si ha un cattivo controllo del budget e, quindi, scarsa capacità di rispettare i limiti di spesa previsti, si hanno, in linea generale, peggiori performance di carattere anche qualitativo. Ecco perché molte persone si trovano costrette a rivolgersi a strutture private, dove la gestione economica è spesso più equilibrata ed efficiente. Insomma, gli italiani devono pagare due volte: prima le tasse per il Ssn, poi, per garantirsi buoni livelli di assistenza, i corrispettivi per i servizi svolti da strutture private. Ci piacerebbe che si invertisse questo trend. Abbiamo strutture, personale e risorse per essere un Paese in cui l’assistenza sanitaria sia erogata dallo Stato. E considerando che tutti paghiamo all’Erario le tasse e versiamo i ticket sanitari per i servizi in cui ci viene richiesto, abbiamo tutto il diritto di aspettarci un trattamento di alto livello.