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Su alcuni giornali è stata definita sbrigativamente «Prima adozione gay in Italia». In realtà il meccanismo con cui si è arrivati a questo risultato ha poco a che fare con il riconoscimento delle unioni omosessuali, ma il risultato in effetti è stato proprio quello: il pieno riconoscimento dei diritti di adozione alla madre non biologica (compagna di quella naturale) di una bambina di cinque anni. Le tre protagoniste, anche in assenza di una legge complessiva che tuteli questo tipo di nuclei, sono ora a tutti gli effetti una famiglia, e la bimba ha preso i cognomi di entrambe le mamme. Stefano Rodotà l’ha definita «una decisione saggia e rigorosa», riferendosi alla sentenza del Tribunale per i minorenni che sottolinea che «“la legge italiana consente al convivente del genitore di un minore di adottare quest’ultimo a prescindere dall’orientamento sessuale dei conviventi. Una diversa interpretazione della norma sarebbe non solo contraria al dato letterale, alla ratio legis e ai principi costituzionali, ma anche ai diritti fondamentali garantiti dalla convenzione europea dei diritti dell’uomo”. Si può ben dire –aggiunge Rodotà – che si tratta di una decisione storica, nella quale tuttavia non si può cogliere alcuna forzatura o “supplenza” giudiziaria».

Per capire come si è arrivati alla sentenza, bisogna partire dall’inizio, ossia dalla nascita in Spagna della bambina grazie alla procreazione assistita eterologa. «Dopo la nascita – spiega La Stampa –, la coppia ha deciso di sposarsi, sempre in Spagna. La bimba da sempre vive nella famiglia composta dalle due donne». Di fatto quindi la bambina ha da sempre due mamme. Non vi è infatti alcuna possibilità di limitare questa situazione di fatto, dato che anche a una persona sola o a coppie non sposate è consentito adottare un bambino, qualora siano garantite le condizioni materiali e affettive per crescerlo in maniera sana. Nel caso di una coppia di fatto (omosessuale o meno), il fatto di riconoscere l’adozione all’altro genitore è però un ulteriore strumento di garanzia della tutela del minore, oltre a dare un maggiore riconoscimento al nucleo familiare.

È così che le due mamme hanno fatto appello al meccanismo della stepchild adoption, che «vuol dire l’adozione da parte di uno dei due componenti di una coppia del figlio, naturale o adottivo, del partner – spiega l’Ansa –. Può dunque può riferirsi sia a coppie eterosessuali che omosessuali, anche se viene comunemente riferita a coppie dello stesso sesso». I problemi relativi alla mancata adozione da parte del genitore “sociale” potrebbero verificarsi in caso di decesso di quello naturale: «Questi bambini, infatti, spesso nati all’estero grazie alla procreazione assistita eterologa, in Italia risultano figli solo del genitore naturale e in caso di problemi o di decesso del genitore biologico, l’altro non ha alcun diritto né dovere nei suoi confronti».

La sentenza ha una portata storica notevole, non si può negare, dimostrando che la società italiana è già ben oltre quella delineata dall’assetto legislativo in vigore. È chiaro come sia in atto una richiesta di diritti civili già molto avanzata nel nostro Paese, in cui molti cittadini hanno raggiunto una consapevolezza paragonabile a Stati in cui il riconoscimento di pari diritti alle coppie gay è a un grado molto pùi avanzato. «In Italia – prosegue l’Ansa –, i bambini con genitori omosessuali sono circa 100mila secondo alcune stime. I risultati di una ricerca del 2005 condotta da Arcigay con il patrocinio dell’Istituto superiore di sanità, indicano che il 17,7 per cento dei gay e il 20,5 per cento delle lesbiche con più di 40 anni hanno almeno un figlio». Peraltro, chi sostenga che i giudici si siano sostituiti al legislatore, sono contraddetti proprio dalle motivazioni della sentenza, che se avesse avuto esito diverso avrebbe discriminato la coppia proprio in quanto omosessuale. Decidendo come ha fatto, il Tribunale ha scelto quella che Rodotà definisce «l’unica percorribile, se si vuol rispettare quella soggezione del giudice alla legge di cui la Costituzione parla all’articolo 101», che al secondo comma recita: «I giudici sono soggetti soltanto alla legge».