Come e quando è arrivata, e perché si è diffusa, l’omeopatia in Italia? C’entrano gli austriaci e le epidemie di colera dell’Ottocento. Con lo sviluppo della medicina, tale dottrina cadde ben presto in declino, salvo conoscere un successo a partire dagli anni ’70 del Novecento, che in parte continua tuttora. Paola Panciroli, nel suo libro 200 anni di omeopatia. Storia di un equivoco? (C’Era Una Volta Edizioni, Roma), ripercorre la vicenda. Pubblichiamo di seguito un estratto della recensione che ne ha scritto Gilberto Corbellini sulla Domenica del Sole 24 Ore del 20 agosto.
Una parte del mondo civile ha deciso di prendere atto che i prodotti omeopatici non sono medicinali, anche se si vendono in farmacia come i veri farmaci, perché non sono controllati per sicurezza ed efficacia. Se ne parla in Australia, in Gran Bretagna e persino in Germania, di non consentire la vendita nelle farmacie di questi preparati. Il Comitato Nazionale di Bioetica chiede che ai cittadini si dica che non stanno acquistano medicinali. Negli Usa la potente FDA esige che sui prodotti omeopatici stia scritto che non sono stati controllati con metodi scientificamente validati. Entro la fine del 2018 in Italia questi preparati andranno registrati come qualunque altro farmaco e ci si aspetta una salutare moria di intrugli utili solo ad arricchire chi li fabbrica. Ma non è scontato, perché 8 milioni di italiani si fanno prescrivere prodotti omeopatici da circa 20mila medici, molti dei quali pediatri.
Ognuno è libero di credere a quel che vuole e di curarsi come vuole, ammesso che sia maggiorenne, paghi di tasca propria e non metta a rischio la salute altrui. L’etica e la legge prevedono che lo Stato usi le tasse dei cittadini per garantire (soprattutto ai più deboli) prestazioni medico-sanitarie, pubbliche o private, sicure ed efficaci, e per informare sui rischi e i possibili inganni a cui si va incontro coltivando certe susperstizioni.
Si dice che i prodotti omeopatici, pur non efficaci, sarebbero innocui perché si tratta di soluzioni senza principio attivo. Non è così. Un rapporto statunitense del 2013 riportava 10.311 casi di esposizioni a veleni contenuti in essi, di cui 8.788 riguardarono bambini sotto i cinque anni, e 697 richiesero trattamenti in un centro medico. I bambini sono più a rischio, perché genitori irresposabili e medici criminali possono non usare antibiotici o non vaccinarli. È probabile che pratiche come l’omeopatia qualche volta si associno a benefici, o attraverso effetti placebo mediati dalla comunicazione tra paziente e pseudoguaritore, o per l’effetto disintossicante che si ottiene interrompendo qualche terapia farmacologica per infiammazioni croniche. Effetti che nulla hanno a che vedere con la dottrina omeopatica. Perché l’omeopatia è solo una credenza insensata.
L’evoluzione dell’omeopatia induce a fare anche ipotesi sulle effettive ragioni del suo successo. Il libro di Paola Panciroli ne racconta la storia in Italia, inquadrandola anche politicamente. Tale pratica arrivò con l’esercito austriaco, dove la credenza medica si era diffusa perché il Principe di Schwarzenber ne era sostenitore, anche se morì per un ictus che il buon Hanhemann a Lipsia non riuscì a guarire. Il medico del principe e la truppe austriache giunsero a Napoli nel 1821, e dà lì l’omeopatia si diffondeva nello Stivale. I medici tradizionali la avversarono con articoli e libri che già allora ne ridicolizzavano i fondamenti dottrinali. Ma con l’arrivo delle epidemie di colera si creò una situazione tale per cui cominciarono a circolare statistiche inattendibili, secondo le quali chi si curava con l’omeopatia moriva di meno.
L’iniziale vantaggio selettivo dell’omeopatia fu che prima che fosse confutata la presunta efficacia del salasso, che si usasse l’anestesia e che si trovassero i microbi nelle infezioni, i trattamenti medici tradizionali erano rischiosi e dolorosi. La dottrina omeopatica si fonda su un principio magico (il simile cura il simile) e sull’uso di soluzioni altamente diluite del principio attivo (fino a niente) che agirebbe “dinamizzando” il solvente attraverso una serie di rituali piuttosto ridicoli. In quell’ecosistema medico-sanitario di inizi Ottocento, si capisce che i pazienti, soprattutto ricchi, preferissero una favola e assumere niente, che farsi salassare, purgare, operare senza anestesia, stimolare il pus delle ferite o strofinare a sangue con “revulsivi”.
Nessun argomento riuscì a rallentare la diffusione dell’omeopatia nell’Ottocento, che però declinò rapidamente nel corso della prima metà del Novecento, cioè quando la medicina scientifica mantenne le sue promesse di salute attraverso vaccini, sieri, antibiotici, insulina e una cornucopia di farmaci per i più diversi disturbi clinici. La ripresa dell’omeopatia in occidente si osservava negli anni Settanta e qualcuno l’ha spiegata con il diffondersi dei movimenti new age e delle filosofie orientaleggianti e olistiche. Può darsi. Ma il problema non è se le credenze omeopatiche sono state incorporate dalle pseudofilosofie antimoderne. La domanda vera è perché medici che si laureano nei corsi universitari, e quindi studiano fisica, chimica, biologia molecolare, immunologia, farmacologia, etc. prescrivono farmaci omeopatici. Dove o cosa avevano studiato i medici che nel 2002, per conto della FNOMCeO, sdoganarono l’omeopatia come “atto medico”? Non è forse un’insulto all’etica che l’ordine dei medici ritenga utilizzabili l’omeopatia e le pratiche non convenzionali anche nel suo Codice Deontologico (art. 15)?