Il Gruppo di lavoro per la convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (gruppo Crc) ha pubblicato ieri l’ottavo rapporto sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia (si può scaricare qui). Il gruppo verifica anno per anno il recepimento della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza ratificata dall’Italia nel 1991. Purtroppo, si legge nel documento, «A vent’anni esatti dal primo Rapporto inviato dall’Italia al Comitato Onu per la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, il sistema organico di politiche per l’infanzia su cui il nostro paese si era impegnato con la ratifica della Convenzione non è stato realizzato».
La gestione delle politiche sui minori in Italia è disarticolata, emergenziale, insufficiente. In sostanza, si naviga a vista e ogni governo e dicastero prende i propri provvedimenti senza che si percepisca la presenza di un disegno complessivo sulla materia. «Oggi si avverte dunque chiaramente a livello nazionale la totale mancanza di una regia che sia in grado di coordinare e mettere a sistema i vari interventi posti in essere dai singoli dicasteri, sia in merito alle competenze per le politiche per l’infanzia e l’adolescenza, sia in merito a quelle ad esse collegate (come ad esempio famiglia, protezione gruppi vulnerabili). Occorre dunque ripensare alle politiche per l’infanzia e l’adolescenza con una visione che superi le misure solo emergenziali, legate al disagio conclamato, attuate oggi secondo una visione che è addirittura antecedente alla Legge 285» del 1997, che aveva proprio lo scopo di superare la “logica emergenziale”.
Il gruppo di lavoro, che riunisce 87 soggetti del terzo settore, si occupa di vigilare affinché ai più piccoli sia assicurata una qualità della vita adeguata, nella convinzione che nei primi anni di vita si gettano le basi per la crescita di soggetti in grado di dare un contributo positivo alla comunità e si sviluppano le potenzialità necessarie a realizzare le aspirazioni che ognuno sviluppa. L’attenzione è quindi per i “blocchi di partenza”, cioè l’età pre-scolare e scolare: «Sono di fatto moltissimi i bambini che non possono godere della migliore partenza possibile: carenze nei servizi sanitari e socio-educativi in molte aree del Paese; mancanza di programmi di informazione e supporto per i genitori; focalizzazione eccessiva della funzione genitoriale sugli aspetti relativi alla “custodia” e all’integrità fisica, e non su quelli affettivo-relazionali; sottovalutazione delle potenzialità e dei bisogni dei bambini nei primi anni di vita. Tutto ciò fa perdere a una buona parte di bambini la possibilità di avere un’infanzia serena e capace di costituire la base per l’apprendimento e per una vita sociale ricca e coesa». Ol
re a un problema di coordinamento e di visione politica del problema, c’è anche una questione quantitativa, relativa alla scarsità di risorse investite da parte del nostro Paese rispetto agli altri Stati del continente. «L’Italia occupa la penultima posizione tra i Paesi europei per le risorse dedicate alle famiglie sul totale della spesa sociale, con uno stanziamento pari al 4,8 per cento, nel quale, oltre al sostegno al reddito per maternità e paternità, sono compresi anche i fondi destinati ai servizi educativi per i bambini da zero a tre anni e le strutture e l’assistenza domiciliare per le famiglie con minori. Secondo il rapporto dell’Ocse 2013 (dati del 2011), l’Italia spende circa 2,01 per cento del pil per le famiglie con bambini, mentre la media dei Paesi Ocse si attesta sul 2,55 per cento».
A partire da queste constatazioni (scorrendo le pagine del rapporto potrete verificare lo stato dell’arte di ogni aspetto della vita di bambini e adolescenti), il Gruppo propone al governo alcune raccomandazioni, sulle quali sarebbe interessante capire se c’è una volontà di intervento, o magari qualche slide che indichi la via. Le misure suggerite sono indirizzate a «ridurre la povertà, in particolare delle famiglie con bambini; incrementare l’accesso ai servizi socio-educativi di qualità fin dal primo anno di vita, in particolare nelle zone più carenti, con enfasi sulla presa in carico precoce e continuativa dei bambini con disabilità; porre in atto interventi finalizzati al supporto delle competenze genitoriali, sia promuovendo una concezione dei servizi come reti integrate di supporto alle famiglie, sia con programmi dedicati e atti a raggiungere tutte le famiglie e a modulare l’intervento sulla base dei reali bisogni».