Il 28 ottobre il Ministero della salute ha comunicato che il bollettino con i dati relativi al COVID-19 sarebbe stato diffuso con cadenza settimanale, e non più quotidiana. Nella nota si leggeva che “anche in base alle indicazioni prevalenti in ambito medico e scientifico, si procederà alla sospensione della pubblicazione giornaliera del bollettino dei dati relativi alla diffusione dell’epidemia, ai ricoveri e ai decessi, che sarà ora reso noto con cadenza settimanale, fatta salva la possibilità per le autorità competenti di acquisire in qualsiasi momento le informazioni necessarie al controllo della situazione e all’adozione dei provvedimenti del caso”.

Questa comunicazione presenta diversi punti problematici. Innanzitutto non è corretto dire che le “indicazioni prevalenti in ambito medico e scientifico” vadano in quella direzione.

Nella stessa data in cui il governo annunciava tale misura, infatti, l’Associazione italiana di epidemiologia (AIE) pubblicava a sua volta un comunicato stampa che esprimeva una posizione tutt’altro che concorde con quella dell’esecutivo. Anzi, l’AIE si rammaricava che non si fosse fatto tesoro dei passi avanti compiuti durante la pandemia per estendere la pubblicazione tempestiva e accessibile di dati sanitari anche ad altri contesti epidemiologici. «Durante l’intera pandemia – scriveva l’AIE – abbiamo potuto leggere dati che permettevano ad ognuno di noi, oltre che agli addetti ai lavori, di avere un’idea del rischio di contagiarsi e di comportarci di conseguenza. Una disponibilità straordinaria che non trova riscontro nella gestione delle altre malattie infettive “normali”. […] Ora, anziché pensare di cogliere l’opportunità per un avanzamento generalizzato della disponibilità di dati su tutte le altre patologie infettive (e non) e utilizzare la prevista digitalizzazione per mettere il nostro Paese al livello di molti altri contesti Europei, si propone di ritornare allo stato di quiescenza dettato dal non sapere».

Ma sono diverse le voci che si sono alzate a favore della pubblicazione quotidiana dei dati. «La ricerca scientifica ha bisogno di dati di qualità, aperti, accessibili, facili da reperire e da elaborare – ha scritto Chiara Sabelli su Scienza in Rete –. I dati che la Protezione Civile pubblicava giornalmente, e che da ora pubblicherà ogni venerdì, hanno queste caratteristiche e sono quindi diventati la base di visualizzazioni, elaborazioni e ricerca scientifica. Per quel che riguarda l’informazione chiara e la responsabilizzazione dei cittadini, non è cercando di spegnere l’attenzione sui dati che si raggiungerà lo scopo. Piuttosto occorrerebbe educare i cittadini alla lettura di quei dati e quindi soprattutto all’incertezza che essi sempre contengono».

Uno dei temi che hanno colpito gli scienziati, ma anche chi si occupa di giornalismo scientifico e comunicazione della scienza, è stata la poca chiarezza con cui è stato dato l’annuncio. Per una settimana, fino alla pubblicazione del primo bollettino, non si è saputo in che forma sarebbero stati diffusi i dati, se aggregata per settimana oppure giorno per giorno. Per fortuna si è scelta la seconda via, che permette un migliore utilizzo di quei dati a fini di monitoraggio, comprensione e previsione del fenomeno. Ma le modalità restano opinabili: «Abbiamo dovuto aspettare una settimana per capire quali fossero le intenzioni del Ministero – ha scritto ancora Sabelli –, che abbiamo provato a contattare ripetutamente per ottenere qualche dettaglio in più sulle motivazioni della scelta, ma purtroppo senza ottenere risposta».

Per capire l’importanza di una pubblicazione tempestiva dei dati, Sabelli fa un esempio concreto: «Ricorderete che la chiusura delle attività produttive venne stabilita il 22 marzo 2020, qualche settimana dopo rispetto all’inizio del lockdown per i cittadini. Bene, se avessimo avuto dati in tempo reale, probabilmente non avremmo chiuso le attività produttive perché quella misura non ha avuto praticamente alcun effetto sulla diffusione del contagio che stava già fortemente rallentando, ma ha avuto un grosso impatto economico».

La pubblicazione dei dati sulla pandemia con i principi descritti dall’acronimo FAIR è dovuta anche al successo della campagna Dati Bene Comune (di cui abbiamo parlato qui), firmata da 60 mila persone.

E infatti sul sito della campagna è comparso un articolo che si esprime contro il nuovo provvedimento del Ministero: «Finché si tratta di comunicazione istituzionale, possiamo comprendere la volontà del nuovo esecutivo di diluire la cadenza delle informative, ma i dati grezzi non dovrebbero assolutamente subire lo stesso destino […] Questo passo indietro è un’occasione persa anche perché  grazie alla loro diffusione, i dati Covid hanno aumentato la consapevolezza sul valore che l’informazione pubblica e aperta può avere per le persone e per le loro scelte».

(Foto di Chris Liverani su Unsplash)

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