Nei giorni scorsi al Parlamento europeo è stato approvato un emendamento – sostenuto con forza da diversi politici italiani – al Piano di azione anticancro, per evitare che l’alcol finisse nei prodotti da “bollino nero”, ossia considerati cancerogeni.
Le motivazioni di tale richiesta sono comprensibili, visto che il settore economico delle bevande alcoliche, su tutte il vino, rappresenta un pezzo importante dell’economia italiana. Il timore era dunque che presentare i prodotti alcolici come “cancerogeni” potesse allontanare i consumatori, e quindi causare perdite economiche per i produttori e tutto l’indotto.
Secondo quanto riportano i giornali, nel testo si è quindi ritenuto di distinguere tra consumo “nocivo” e “moderato” di bevande alcoliche, specificando che «non è il consumo in sé a costituire fattore di rischio per il cancro».
La notizia è stata accolta come una vittoria in Italia, e politici di diversi schieramenti hanno rilasciato dichiarazioni in cui sottolineano la differenza tra consumo “moderato e responsabile” e “abuso” e rimarcando, come ha fatto il sottosegretario alle Politiche agricole alimentari e forestali, Gian Marco Centinaio, che «Il vino è cultura, socialità, racconta e rende unici i nostri territori, fa parte della nostra storia e della Dieta Mediterranea».
Tutto vero, ma il problema è che se quel sistema di classificazione serve a indicare al consumatore quali sono i prodotti cancerogeni e quelli che non lo sono, allora il vino, come tutti gli alcolici, va segnalato tra i primi. Questo non equivale certo a dire che bere un bicchiere di vino a pasto sia dannoso tanto quanto un’intera bottiglia con la stessa frequenza. Ma non esiste una quantità di alcol ritenuta “sicura” dalla scienza. «Ogni bicchiere aggiunge un tot di rischio al nostro rischio “originale” di prenderci un tumore», ha scritto sul suo profilo Instagram la biotecnologa Beatrice Mautino.
Provando a fare un parallelismo con le sigarette: fumarne una al giorno o un pacchetto al giorno è ben diverso a livello di impatto sulla salute. Ma qualcuno si sentirebbe di dire che fumare una sigaretta al giorno “non è dannoso” in assoluto? Probabilmente no. Eppure accettiamo che sui pacchetti di sigarette ci siano messaggi molto espliciti sulla loro pericolosità: sarà il consumatore a scegliere.
Leggiamo cosa dice il sito dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) rispetto all’alcol: «Sia il volume di alcol che una combinazione di contesto, frequenza e quantità consumata per occasione nel corso della vita aumentano il rischio di un ampio spettro di problemi sanitari e sociali. I rischi aumentano in maniera rilevante a seconda del volume e della frequenza del consumo di alcol, e in modo esponenziale con la quantità consumata in una singola occasione. […] Poiché il consumo di alcol, in qualunque forma, è associato a rischi per la salute a breve e a lungo termine, è molto difficile definire soglie universalmente applicabili per il consumo a basso rischio (grassetto nostro)».
La scelta fatta dal Parlamento europeo è quindi priva di basi scientifiche, il che è piuttosto sconcertante dato l’argomento: stiamo parlando del Piano di azione anticancro, non di un’azione a sostegno della dieta mediterranea.
Come fa notare Mautino, il tema si muove su diversi piani: «quello sanitario (l’alcol fa male), quello culturale (vino, birra e superalcolici fanno parte della nostra storia), quello economico (etichetta e, soprattutto, vincoli sulla pubblicità mettono a rischio un settore importante dell’economia), quello politico (quel settore sposta un sacco di voti)». Ognuno di essi ha la sua importanza, e non è certo nostra intenzione demonizzare il consumo di alcolici tout court. Ma confondere questi piani è molto pericoloso, perché vuol dire piegare aspetti sanitari a considerazioni di carattere politico ed economico. A due anni dall’inizio della pandemia, dovrebbe esserci ormai chiaro quali sono i rischi dell’operazione.
Un altro aspetto da notare è la totale assenza di spirito critico da parte dei giornali italiani che hanno riportato la notizia. Tutti si sono limitati a riportare la notizia, veicolando la narrazione della “vittoria” italiana contro i soliti freddi burocrati di Bruxelles. Nessuno si è premurato di dire che quella “vittoria” poggiava su basi antiscientifiche.
Il problema forse qui è il piano di etichettatura dei prodotti in sé, che con un approccio troppo riduzionista finisce per mettere sullo stesso livello prodotti dai profili molto diversi, finendo per confondere il consumatore, più che aiutarlo nella scelta. Bene che se ne parli dunque, ma senza fare disinformazione. «Come se non fossimo in grado – conclude Mautino – di tenere assieme l’informazione che l’alcol è cancerogeno con la voglia di berlo e dovessimo raccontarci la favola che non fa male».
(Foto di Kelsey Knight su Unsplash )
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