La Corte costituzionale ha stabilito che Marco Cappato, politico italiano di area radicale, non è colpevole di istigazione al suicidio per avere accompagnato Fabiano Antoniani (cieco e paralizzato a seguito di un incidente) in una clinica svizzera per sottoporsi al suicidio assistito. La sentenza riempie un vuoto normativo di cui la politica, prima o poi, dovrà avere il coraggio di occuparsi. Di seguito un estratto dell’articolo di Alessandro Calvi per Internazionale.
L’aiuto al suicidio non è sempre punibile. Lo ha stabilito la corte costituzionale secondo la quale l’assistenza non è punibile come istigazione. Perché ciò accada devono ricorrere alcune circostanze: si potrà aiutare una persona a morire se ha una malattia irreversibile che le provoca sofferenze intollerabili, è tenuta in vita da trattamenti medici di sostegno e ha scelto autonomamente e liberamente di porre fine alla propria vita. Inoltre, la consulta, come già aveva fatto lo scorso anno, è tornata a sollecitare un intervento del legislatore, definendolo indispensabile. Nel frattempo, per evitare abusi ai danni di persone vulnerabili ha sottoposto la non punibilità “al rispetto delle modalità previste dalla normativa sul consenso informato, sulle cure palliative e sulla sedazione profonda continua”.
La questione costituzionale era stata sollevata al termine del processo al radicale Marco Cappato, che aveva accompagnato Fabiano Antoniani – conosciuto come Dj Fabo – in Svizzera, dove l’aiuto al suicidio è possibile. Ma, al di là del destino personale di Cappato, questa vicenda avrà conseguenze importanti sul piano generale. E non solo perché da oggi i giudici potranno operare una valutazione sulla condotta dell’imputato che non sarà automaticamente ricondotta all’istigazione, ma soprattutto perché questa vicenda pone una gigantesca questione di sistema. Non a caso, Cappato ha detto giustamente che si tratta di “una vittoria della disobbedienza civile, mentre i partiti giravano la testa dall’altra parte”.
Ancora una volta, sul terreno dei diritti il parlamento è stato incapace di assumere una responsabilità politica e prendere una decisione, costringendo altri – in questo caso la consulta, in altri casi la magistratura ordinaria e la corte di cassazione – a intervenire per colmare una lacuna dell’ordinamento giuridico. Bene, si dirà. Ma la via giudiziaria ai diritti è un fallimento per la politica, il fallimento più grande.