Poco più di un anno fa, sulle pagine di ZeroNegativo, pubblicavamo una riflessione sul concetto di rappresentanza, declinato nella sua accezione più ampia e applicabile a contesti molto diversi. Una piccola dissertazione che ci è capitato di rileggere non molto tempo fa, trovandola del tutto attuale. Tanto che abbiamo voluto inserirla in coda all’ultimo numero di A tu per tu, la newsletter di Avis Legnano. Non sappiamo in quanti si siano accorti del “ripescaggio”, ma non poteva mancare quell’articolo in un numero tutto dedicato alla “rottamazione” (anche qui, abbiamo cercato di espandere l’accezione della parola andando oltre il senso che le si dà da qualche anno a questa parte). Si tratta di un tema sempre attuale, ma che si presta di tanto in tanto a un aggiornamento, o a nuove precisazioni.
Oggi vorremmo provare ad aggiungere qualcosa in merito. Per esempio questo: un buon leader è colui che sa quando farsi da parte. Non correte subito all’esito del referendum sulla riforma costituzionale e alle sue conseguenze. Ci riferiamo qui alla reale capacità di saper dire “basta” prima che il mondo intorno a te ti costringa a lasciare il potere a qualcun altro. Soprattutto se si opera per conto di un’istituzione molto presente e distribuita sul territorio, il percorso che porta dal rappresentare il proprio ambito locale fino ad aree sempre più vaste ha senso se finisce com’è iniziato, cioè nel territorio. Di questo siamo convinti, ed è un discorso che vale ovviamente anche per l’associazione-di-associazioni di cui facciamo parte.
L’esperienza e le capacità accumulate negli anni vanno trasmesse a chi verrà dopo, lasciandogli però lo spazio per dire la propria. Costruire la propria carriera dentro uno dei tanti corpi sociali in cui si concretizza il concetto di rappresentanza è utile se si ha la sensibilità di vedere l’approssimarsi della fine del proprio ciclo di impegno al vertice, e si ha l’umiltà e l’intelligenza di continuare a dare il proprio contributo da una posizione più discreta, per quanto arricchiti dalle conoscenze e capacità accumulate negli anni. Così come il termine imposto dalla scadenza del mandato è previsto da qualsiasi istituzione (tranne le monarchie) come momento per ripensarsi e stabilire quale sarà il corso da dare all’immediato futuro, anche il leader stesso farebbe bene a interpretare il proprio ruolo di rappresentanza come un incarico a termine. Non solo rispettando formalmente eventuali limiti alla reiterazione del mandato, ove previsti, bensì anche avendo l’onestà di non tentare di aggirarli per poi restare ufficiosamente al comando.
Inutile parlare dell’importanza di giovani e formazione, se poi non ci si fa da parte per lasciare che le cose di cui si è parlato si realizzino. Alla fine del 2016, il sociologo Giuseppe De Rita pubblicava un articolo sulla rappresentanza sul Corriere della Sera, nel quale si esprimeva così: «Occorre, in altre parole, un lavoro di rappresentanza impegnativo e faticoso: di ascolto; di interpretazione; di coagulo in precise domande politiche; di confronto con le sedi di potere; di ricerca di condivisione per le scelte di lungo periodo, fuori dalle suggestioni di eventi impressivi ma evanescenti. Ma chi può gestire una tale complessa rappresentanza, andando oltre la disintermediazione degli ultimi anni e il conseguente vuoto di dialettica sociale e politica? Non appaia una personale coazione a ripetere, ma è probabile che si debba far conto su due “obblighi” speciali: stare da un lato sul territorio e dall’altro applicarsi a interpretare interessi minuti per mobilitare tanti e diversi soggetti sociali e politici».
Ascoltare, interpretare, formulare domande, sono forse questi i tre imperativi morali implicati dalla rappresentanza, a qualsiasi livello. Qualsiasi soggetto (politico, associativo, sociale, ecc.) è sempre in relazione con altri soggetti, con interessi in parte divergenti e contrastanti. Mantenere sempre aperti i canali di dialogo con ciò che sta fuori dal proprio sistema di riferimento (che, per quanto grande sia il gruppo che si rappresenta, sarà sempre la maggior parte) è un compito imprescindibile per essere davvero utili alla propria struttura. Da ultimo ci sembra opportuno ricordare il senso di responsabilità dettato dal fatto che la leadership è sempre composta da persone che si auto-selezionano. Per quanto raffinati e ragionati possano essere i meccanismi meritocratici che si mettono a punto, se non ci si candida per qualcosa non si verrà eletti; e se è sempre possibile boicottare una candidatura, per quanto forte, nessuno può essere candidato “d’ufficio”. La responsabilità dunque è prima di tutto di chi decide di provarci.
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