Oggi pubblichiamo un gustoso articolo di Guido Vitiello uscito su La lettura, a proposito dell’uso spensierato delle citazioni tanto in voga oggi (complici internet e i social network). Una pratica che talvolta conduce al paradosso di concepire nuovi autori per frasi pronunciate da altri, oppure assegnare una prestigiosa paternità ad affermazioni la cui origine è ignota.
Ripianare il debito pubblico sarebbe una sciocchezza, se solo ci decidessimo a prendere alcuni provvedimenti dolorosi ma risolutivi: una tassa sui luoghi comuni e sulle frasi fatte, per esempio, e ancor prima una tassa sulle citazioni abusate. Cinquanta centesimi ogni volta che ci si azzarda a riproporre il monito di Bertolt Brecht, «Sventurato il paese che ha bisogno di eroi». Almeno un euro per gli usi illeciti del motto filosofico di Ludwig Wittgenstein, «Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere». Cinque euro per il George Santayana di «Chi non ricorda il passato è condannato a ripeterlo». Una gabella molto più onerosa per guadagnarsi il diritto a ripetere impunemente il tormentone del Gattopardo, «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi». La confisca dei beni (e una quarantina di scudisciate sulla pubblica piazza, già che ci siamo) per chi ha ancora il coraggio o l’impudenza di annunciare, con Goya, che «Il sonno della ragione genera mostri». Pensateci bene, un meccanismo di tassazione di questo genere non solo risanerebbe in tempi rapidissimi i conti dello Stato, ma porterebbe sicuri benefici anche in quel piccolo sistema valutario che è il dibattito pubblico e giornalistico, dove le parole sono monete e il citazionismo compulsivo innesca spaventosi fenomeni inflattivi. A furia di ripetizioni, quanto vale ormai sul mercato delle idee uno dei preziosissimi aforismi di Ennio Flaiano, o di Leo Longanesi? Non molto più di un marco nella Germania di Weimar, quando un chilo di banconote non bastava a comprare un chilo di pane.
[…] Ma se proprio si deve esser ridotti a una sola parola, a una sola frase, che almeno sia una frase che abbiano pronunciato davvero. Tutti ricordano la nobile e cavalleresca sortita di Voltaire: «Non sono d’accordo con le tue idee, ma mi batterei fino alla morte perché tu possa esprimerle». Tutti, tranne Voltaire, che quando fu scritta era morto da più di un secolo: a mettergliela in bocca fu infatti Evelyn Beatrice Hall, nel libro biografico The Friends of Voltaire (1906). Già, direte voi, ma Voltaire ha pur sempre detto che «Il grado di civiltà di una nazione si misura visitando le sue carceri». Dragate pure la sua opera omnia: non ne troverete traccia. E certo, sostiene un’altra scuola, quella lì è di Dostoevskij. Ma niente da fare, pare che tra i milioni di parole dell’autore dei Karamazov l’aforisma sulle carceri manchi all’appello. Il caso più desolante (e spudorato) è quello di Primo Levi, brandito a ogni occasione dagli antisionisti arrabbiati per una frase («Ognuno è ebreo di qualcuno, oggi i palestinesi sono gli ebrei di Israele») che non solo non disse mai, ma che non si sarebbe mai sognato di dire. Woody Allen ha inventato centinaia di battute memorabili, ma forse sarà ricordato per l’’unica che non ha mai detto: «Dio è morto, Marx è morto, e neanch’io mi sento molto bene». Chi è stato, allora? Groucho Marx, come sostiene qualcuno? Neppure. Eugène Ionesco? Ma Ionesco a sua volta citava una scritta murale sessantottina. Non se ne esce.
[…] Goebbels non ha mai detto «Quando sento la parola cultura metto mano alla pistola» (la frase è del drammaturgo Hanns Johst), Lenin non ha mai parlato di «utili idioti», e Maria Antonietta non ha mai suggerito di dare brioches al popolo affamato di pane, perché la stessa frase compare molti anni prima nelle Confessioni di Rousseau. Ma -questo è il punto- la regina avrebbe potuto dirla, suona plausibile, e tanto basta. Tutto sta a convincersi che il nome in calce a una citazione non è il riconoscimento di una paternità, o almeno non principalmente. È prima di tutto un colpo di gong, che conferisce solennità o perfino un tremito di fatalità alle parole appena pronunciate. Dunque, un autore vale l’altro. Non c’è frase abbastanza stupida che non possa riscattarsi se in coda ci si appende, a casaccio, un «Winston Churchill» o un «Oscar Wilde». Ma, con tutto il rispetto per i falsari e gli spacciatori di citazioni taroccate, c’è un esempio ancora più goliardico a cui dovremmo ispirarci. È il Lello Arena di Ricomincio da tre, che per darsi arie di persona profonda contrabbanda come propria una frase di Montaigne. L’ignaro Troisi, a sua volta, la ricicla per far colpo su una ragazza. E quando si sente obiettare «Ma che fai, parli con le frasi degli altri?», non gli resta che chiederle: «Perché, conosci Lello?».