Il 30 novembre comincerà a Parigi la conferenza mondiale sul clima, che proseguirà fino all’11 dicembre. Che l’impatto dell’uomo abbia un ruolo determinante sul riscaldamento globale è ormai accertato da numerose ricerche pubblicate dall’Ipcc. Nonostante questo, le precedenti assemblee che hanno riunito la maggior parte degli Stati mondiali per discutere politiche ambientali comuni non hanno mai raggiunto risultati determinanti per contrastare l’aumento della temperatura globale. Da segnalare c’è un nuovo atteggiamento da parte degli Stati Uniti, con il presidente Barack Obama che ha sottolineato l’importanza dell’incontro, soprattutto per dare un segnale forte alle organizzazioni terroristiche che vorrebbero distogliere il mondo dalle sue priorità. Un bel passo avanti rispetto alla riluttanza con cui di solito gli Usa si presentano a queste occasioni (ricordiamo che nel 1997, assieme alla Russia, si rifiutarono di firmare il protocollo di Kyoto, limitandone così l’efficacia in termini di riduzione delle emissioni). Sul piano pratico, però, come spiega Lavoce.info, «il segretario di Stato americano John Kerry ha dichiarato giorni fa che le decisioni che verranno prese a Parigi non saranno “legally binding” ovvero giuridicamente vincolanti, anche perché “l’accordo non sarà un trattato”». Lo schema risulta quindi molto più simile del previsto a quello adottato in Giappone. Nel tempo si sono succedute numerose assemblee con più o meno Paesi invitati a partecipare, l’ultima di una qualche rilevanza a Copenaghen nel 2009, dove però non fu raggiunto nessun accordo. Diversi sono i calcoli e le teorie su quanti investimenti sarebbero necessari per invertire la tendenza del clima, o per lo meno contenerla.
L’obiettivo ideale sarebbe mantenere l’incremento della temperatura media sotto i 2 gradi centigradi rispetto all’era pre-industriale. Purtroppo siamo ancora lontani: «Agli attuali ritmi – spiega il Post –, entro la fine del secolo si potrebbe arrivare a 5,4 gradi in più rispetto all’era pre-industriale, da qui la necessità di cambiare le cose nei prossimi decenni prima che sia troppo tardi. Il problema è che secondo molte proiezioni il miglior accordo possibile a Parigi porterà al superamento di 2,7 gradi, quindi comunque ben oltre il limite irreversibile dei principali modelli». Secondo Jean-Pascal van Ypersele, vicepresidente uscente dell’Ipcc, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite, intervenuto a Rieti al XII Forum internazionale Greenaccord dell’informazione ambientale, basterebbe un investimento relativamente limitato per scongiurare gli effetti irreversibili di un riscaldamento eccessivo: «Il mix di politiche energetiche, economiche, fiscali, agricole e finanziarie necessarie per adattarsi ai cambiamenti climatici e per mantenere sotto i 2 gradi centigradi l’aumento globale di temperatura potrebbe incidere per meno dello 0,06 per cento del Pil mondiale. E tale dato – ha sottolineato il climatologo belga – non tiene conto dei benefici economici legati alla tutela degli ecosistemi e delle risorse naturali». Detto così, il risultato sembra più avere a che fare con la volontà, piuttosto che con reali problemi di fattibilità.
L’articolo pubblicato su Lavoce.info cita però dati molto diversi: «Secondo l’ultimo World Energy Outlook appena pubblicato dalla Iea (International Energy Agency), per dare la piena attuazione agli impegni sul clima […], sarebbe necessario un investimento complessivo di 13,5 trilioni (migliaia di miliardi) di dollari. Nonostante sia un investimento da spalmare nel tempo, resta una cifra di tutto rispetto se si considera che il Pil mondiale, secondo il Fondo monetario internazionale, nel 2014 era pari a circa 54 trilioni. E nonostante l’importante e assai ipotetico investimento, quegli impegni ancora non sarebbero sufficienti per operare la correzione di rotta necessaria per raggiungere l’obiettivo concordato a livello globale di limitare l’aumento medio della temperatura a 2 gradi centigradi». Opinioni molto lontane ed entrambe autorevoli, difficile quindi farsi un’idea precisa.
Aggiungiamo uno spunto interessante dato da Slow Food, che ha pubblicato un appello dal titolo “Non mangiamoci il clima”, con l’obiettivo di porre l’accento sui processi produttivi industriali del cibo come importanti corresponsabili del riscaldamento globale. Un modello che si è affermato a partire dagli anni Cinquanta del ‘900 e che, come si sa, genera grandi problemi ecologici per la sua insostenibilità: «La salvaguardia ambientale non è una priorità di questo modello, che ha sposato la filosofia del produttivismo, della crescita infinita e del liberismo economico», si legge nel comunicato. Speriamo che si parli anche di questo nella conferenza, e che l’ennesima discussione produca decisioni sagge e non soltanto chiacchiere, ché anche le parole hanno un loro ecosistema da preservare.
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