Ieri riportavamo l’attenzione sull’assenza di una cultura di prevenzione nel nostro Paese, che ci condanna a vivere, a fronte di eventi naturali devastanti, conseguenze tragiche la cui gravità aumenta in maniera direttamente proporzionale al nostro lassismo. Una legge matematica, spietata quanto può esserlo la natura, soprattutto se se ne ignorano i segnali. «Avvezza la popolazione di Reggio e della provincia alle scosse di tremuoti, sembra ad ognuno che avrebbe dovuto pensare ad un modo onde formare le case in guisa che le parti avessero la massima coesione e il minimo peso. Or qui si vedeva precisamente il contrario…». Sono parole (pubblicate ieri dal Corriere in un articolo di Gian Antonio Stella) della Commissione accademica napoletana, scritte nel 1783 in relazione alla costruzione di edifici in Calabria, che stava avvenendo senza seguire alcuno dei principi elencati.
Parole che fanno rima con quelle di Vito Zincani, procuratore capo di Modena, che mercoledì ha affermato, riferendosi ai capannoni industriali, che «La politica industriale a livello nazionale sulla costruzione di questi fabbricati è una politica suicida». O meglio, potremmo dire volendo essere più obiettivi, omicida. Curioso infatti che a crollare siano stati edifici costruiti centinaia di anni fa, ma anche capannoni certamente più recenti del duomo di Mirandola. Shoe box sono definiti, scatole di scarpe (un termine che, sinceramente, prima non avevamo mai sentito). Già nel nome è contenuta tutta l’instabilità di queste trappole. Proprio come una scatola, poggiano sulla terra privi (o quasi) di fondamenta. E, come suggerisce il nome che li etichetta, sono semplicemente dei contenitori. Nessun altro criterio ne regola la concezione, la loro funzione si esaurisce qui.
«Oltre al fatto che rovinano il paesaggio -ha proseguito Zincani-, questi capannoni prefabbricati sono stati fatti con l’ottica del risparmio. Ma ora paghiamo il risparmio nelle costruzioni con un prezzo di gran lunga superiore, che si calcola con vite umane». Ancor più delle responsabilità, ciò su cui bisogna riflettere è sulla cultura che ha prodotto questi mostri capaci di divorare esistenze. Una cultura industriale che ha il coraggio di mandare delle persone a passare gran parte delle proprie giornate lavorative in un luogo che si chiama “scatola di scarpe”. E soprattutto una cultura che ha fatto sì che, dopo i controlli successivi alle prime violente scosse di terremoto di dieci giorni fa, quegli operai tornassero al proprio posto, a morire in fabbrica al terremoto successivo.
Com’è possibile che sia successo un tale disastro a fronte di eventi sismici che, per quanto eccezionali, non hanno superato magnitudo 5.9? La scala Richter è molto chiara in questo senso, e prevede che un terremoto in un intervallo tra 5 e 5.9 «Può causare gravi danni strutturali agli edifici costruiti male in zone circoscritte. Danni minori agli edifici costruiti con moderni criteri antisismici». Per quanto ritenuta da alcuni obsoleta, ci sembra abbastanza chiaro il messaggio. Inoltre i “moderni criteri antisismici” di cui parla sono riferiti al momento in cui la scala è stata elaborata, il 1935. Tempo fa l’allora capo dipartimento della Protezione Civile Guido Bertolaso affermò che «Per mettere in sicurezza tutto il nostro Paese occorrerebbero tra i 20 e i 25 miliardi di euro». In un rapporto del 2010 elaborato dall’ente stesso (sempre citato da Stella) si faceva il conto di quanto speso per le emergenze: «I terremoti che hanno colpito la Penisola hanno causato danni economici consistenti, valutati per gli ultimi quaranta anni in circa 135 miliardi di euro (a prezzi 2005), che sono stati impiegati per il ripristino e la ricostruzione post-evento. (…) Attualizzando tale valore, si ottiene un valore orientativo complessivo dei danni causati da eventi sismici in Italia pari a circa 147 miliardi e, di conseguenza, un valore medio annuo pari a 3.672 milioni di euro». Insomma, se anche qualcuno volesse attaccarsi ai numeri non c’è altra conclusione possibile: la prevenzione conviene.
In questo come in simili casi (inondazioni, incendi ….)mi pare sempre più evidente che la non prevenzione sia la prima parte di un business più ampio legato alla seguente, ovvero la “ricostruzione”. Così facendo vengono spesi molti più soldi (pubblici), spesso male o con altri fini. Per il conto rivolgersi ai soliti noti!.
Cordiali saluti
Claudio Antico