Quando si dice «investire nella salute», spesso si cade in un equivoco. L’espressione completa dovrebbe infatti essere «investire in politiche della salute», e non, come spesso viene declinata, «investire soldi in strutture per la salute». La prima interpretazione è un indirizzo di governo, a livello locale e nazionale, la seconda è un’operazione finanziaria. Il nostro territorio ha visto nascere negli ultimi anni strutture ospedaliere che forse non erano necessarie, o che si sarebbero potute costruire in altro modo e altrove, nel rispetto di criteri e parametri più appropriati. Per esempio, per stare alla Lombardia, il nuovo ospedale di Bergamo, i cui lavori si sono protratti per anni oltre le previsioni, e i cui costi sono lievitati da 280 a 500 milioni di euro. Per vari motivi, ma anche perché l’opera è stata edificata su un terreno paludoso, il che ha causato problemi enormi. La domanda che ci facciamo in questo caso, ovviamente, è la seguente: possibile che nessuno ci abbia pensato prima? Oppure si potrebbe parlare di Como, dove la struttura inaugurata appena due anni e mezzo fa, in questi giorni ha subito infiltrazioni d’acqua nelle sale operatorie, dovute alla pioggia. Da non credere.
Ospedali nuovi, all’avanguardia (più o meno), alla ricerca della tanto acclamata “eccellenza”, ma poi la salute diventa sempre più un lusso e sempre meno un diritto garantito. Lo dice l’Istat, l’istituto presieduto fino a pochi giorni fa dal neo ministro al Welfare, Enrico Giovannini. A quanto pare, l’aumento del ticket registrato negli ultimi mesi sta allontanando i cittadini dalla prevenzione. Se un esame non è strettamente necessario, meglio saltarlo. «Oltre sette famiglie italiane su dieci (71 per cento) negli anni della crisi hanno quasi eliminato le spese per visite mediche, analisi cliniche e radiografie, mantenendo quella incomprimibile per i medicinali», ha detto Giovannini. Nei pronto soccorso si fanno code sempre più lunghe perché il personale non è sufficiente, e allora si finisce alla guardia medica, dove però viene offerto un servizio neanche lontanamente paragonabile. Secondo Flavio Magarini, di Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato del Veneto: «Bisognerebbe aprire una seria discussione sulla guardia medica, un servizio ormai anacronistico perché sprovvisto di ogni pur semplice strumento di diagnostica. Se fosse possibile, per fare un esempio concreto, effettuare il test dell’enzima cardiaco nell’ambulatorio della guardia medica, si eviterebbero lunghe, estenuanti attese nei corridoi dei pronto soccorso. Che così restano l’unico punto di riferimento per un cittadino giustamente preoccupato per la propria salute. Ma anche qui dobbiamo registrare un’inversione di tendenza: parecchi veronesi non vanno neppure al pronto soccorso per paura di pagare il ticket. La diretta conseguenza di questo atteggiamento: l’automedicazione». Addirittura non è più l’imprevisto a mettere in difficoltà, ma le attività programmate. Gli esami del sangue possono arrivare a costare anche 90 euro, per molti una cifra importante del budget mensile, e quindi si decide di frazionare gli accertamenti. Finché si può ci si controlla, poi si sospende tutto fino all’arrivo dello stipendio successivo. Una china molto pericolosa, che se da un lato forse riduce le liste d’attesa, dall’altra apre problemi che si presenteranno solo nei prossimi anni.