Quello sulla Tobin tax è un dibattito che ciclicamente riemerge, soprattutto in tempi di crisi. Ne abbiamo parlato anche noi qualche tempo fa, spiegandone la nascita, il funzionamento e sottolineando l’interessante implicazione morale di una tassa che graverebbe direttamente sugli operatori finanziari votati alla speculazione, e non a pioggia sui contribuenti in genere (al contrario dell’Iva).
Oggi il tema merita di essere ripreso, dopo che uno studio commissionato da Unitaid ha dimostrato che l’introduzione di questa misura potrebbe avere ricadute positive sull’economia anche se fosse introdotta da singoli stati. Uno dei freni alla sua introduzione in Europa, infatti, è stato il mancato accordo da parte di tutti i Paesi dell’Unione. Un obiettivo che si rincorre da tempo, ma che, a questo punto, potrebbe non essere necessario. Secondo lo studio, se la tassa venisse introdotta non provocherebbe alcuna fuga di capitale dai Paesi in cui questo è tassato verso altri in cui non lo è. Peraltro, l’idea di tassare (con un’aliquota minima) le transazioni finanziarie (e non valutarie, come prevedeva in origine la Tobin tax, elaborata nel contesto economico mondiale di quarant’anni fa) è stata nuovamente richiamata da più parti nelle scorse settimane. Il 20 settembre, il presidente francese Nicolas Sarkozy ne ha parlato all’Assemblea generale delle Nazioni unite, sottolineando che «La tassazione delle transazioni finanziarie possiamo deciderla adesso. Perché aspettare? La finanza si è mondializzata, in nome di cosa noi non dovremmo chiedere alla finanza di partecipare al riequilibrio del mondo prelevando su ciascuna transazione una tassa?». Otto giorni dopo, il 28 settembre, la Commissione europea ha presentato una proposta per l’adozione di una tassa sulle transazioni finanziarie (Ttf) entro il 2014. Sarebbe un gran bel punto di partenza, anche se poi ci sarà da stabilire con più precisione come utilizzare il gettito, come fanno notare i promotori della campagna Zerozerocinque.
Grande assente dal dibattito, purtroppo, il governo italiano, che al momento non si è pronunciato. Risale al 29 giugno un articolo pubblicato su Le Figaro in cui si annuncia che la manovra in corso di approvazione prevederebbe una Ttf dello 0,15 per cento. Non ne abbiamo trovato traccia sui media italiani, e nemmeno nel testo definitivo della manovra, che però, indirettamente, una risposta l’ha data con l’aumento dell’Iva al 21 per cento su alcune categorie di beni. La direzione suggerita sembra infatti essere, ancora una volta, quella di colpire in maniera orizzontale i contribuenti, piuttosto che rischiare di infastidire una categoria che si nutre di finanza “mordi e fuggi”. Peraltro, secondo lo studio Unitaid, l’introduzione della Ttf in Italia potrebbe dare un gettito di 10 miliardi di euro all’anno, contro i 4,2 previsti dall’aumento dell’Iva. Ma se anche le stime Unitaid fossero fin troppo ottimistiche, a cambiare sarebbe la composizione del capitale in ingresso nelle casse dello Stato. Una questione di principio che, mediamente, costerà 100 euro all’anno alle famiglie italiane.