La Tobin tax è una di quelle cose che, come auspicava Einstein, si potrebbe spiegare anche alla nonna. Quello che Einstein non disse è che, se anche i concetti sono semplici, spesso la realtà si dimostra troppo complicata per farne buon uso. James Tobin, economista americano, espose la sua idea -che gli varrà il premio Nobel- per la prima volta nel 1972. Si tratta di una tassa sulle transazioni valutarie, pensata per contrastare le speculazioni basate sul tasso di scambio del denaro tra diversi Stati. Per capire meglio basti un esempio, che prendiamo dalle stesse parole di Tobin: «Ipotizziamo che la tassa sia pari allo 0,5 per cento per ogni transazione, mezzo punto percentuale del suo valore totale. Se sposti denaro da Toronto (Canada) a New York (Stati Uniti) per approfittare di una differenza nel tasso di cambio e risposti la cifra nella stessa settimana, il tuo viaggio ti costa un 1 per cento (0,5 per andare, 0,5 per tornare). Se il vantaggio nel breve periodo è di pochi punti sulla base dei tassi di interesse annui, la tassa cancella il guadagno». Proprio il suo ammontare fisso la rende in grado di discriminare tra scambi speculativi e veri propri investimenti. Perché se quella stessa cifra si spostasse, invece che nel giro di una settimana, nel giro di sei mesi, quell’un per cento sarebbe diviso in due momenti distanti tra loro, e probabilmente gli interessi maturati nel periodo lo renderebbero un costo marginale. Ma il punto di forza di questo progetto è che si tratterebbe, finalmente, di una tassa che non grava sui comuni cittadini -quelli che nei momenti di crisi devono fare più sacrifici, e in quelli di crescita accontentarsi di tirare il fiato-, ma su chi ha grosse responsabilità sulle crisi degli ultimi decenni.

Ovviamente di cose ne sono cambiate dal 1972, e ora in Europa ci sono 17 Paesi che condividono la stessa moneta, per cui ha meno senso pensare a una tassa sulle transazioni valutarie. Ecco perché è al vaglio una tassa simile (i cui principali sostenitori sono Nicolas Sarkozy e Angela Merkel), che si applicherebbe alle transazioni finanziarie (Ttf). Rimarrebbero quindi esclusi pagamenti per beni, servizi e prestazioni lavorative all’estero, mentre sarebbero colpiti i mercati finanziari. Con un’aliquota dello 0,05 per cento, il gettito della Ttf arriverebbe a oltre 200 miliardi di euro l’anno in Europa (650 miliardi di dollari nel mondo), e andrebbe a finanziare il bilancio Ue 2014-2020. Ci sono campagne internazionali (tra cui l’italiana Zerozerocinque), che vorrebbero invece destinare parte degli introiti alla copertura di spese sociali nei Paesi che riscuotono la tassa. La parola finale spetterà al Consiglio d’Europa, cioè agli Stati membri, che in materia fiscale godono di piena autonomia. Insomma, la Tobin tax compirà quarant’anni l’anno prossimo, sarebbe bello poterla festeggiare facendola uscire dall’alveo dei grandi progetti mai realizzati. Altrimenti dovremo arrenderci all’interpretazione dei più pessimisti, che sono convinti che ormai i governi si siano lasciati sfuggire di mano il mercato, e non siano più in grado di tenerlo a bada.