La sanità italiana ha un problema di carenza del personale, che riguarda sia i medici che gli infermieri. Dei secondi abbiamo scritto in un recente articolo, mentre oggi ci concentriamo sui primi. È noto che in Italia c’è un basso turnover di medici, e infatti il comparto ha un’età mediana piuttosto alta rispetto ad altri paesi europei (57 anni). Il basso numero di iscritti ai corsi di laurea e specializzazione in Medicina, dovuto anche al numero chiuso introdotto oltre vent’anni fa, rende il ricambio ancora più difficile, perché i nuovi laureati (e specializzati) non sono sufficienti a rimpiazzare chi va in pensione.

La strategia degli ultimi governi (incluso quello in carica) di fronte al problema, che si conosce da tempo, è aumentare i posti disponibili nelle università e nelle scuole di specializzazione. Questo, secondo un’analisi pubblicata su Lavoce.info, non sarà sufficiente a risolvere il problema e inoltre porterà ad avere un eccesso di laureati tra pochi anni.

Partendo dalle specializzazioni, bisogna infatti notare che non basta aumentare i posti disponibili affinché i nuovi specializzandi si distribuiscano “naturalmente” dove c’è più bisogno. «Dal 2019 – si legge nell’analisi – sono stati aumentati i posti per tutte le specializzazioni (da circa 8 mila nel 2019 a quasi 18 mila nel 2020). Tuttavia, poiché non tutte le specializzazioni hanno la stessa attrattiva, l’attuale aumento indiscriminato dei posti (superiore al numero di nuovi medici laureati) ha determinato un netto squilibrio tra le diverse opzioni. Nel 2022, ad esempio, circa il 70 per cento dei primi cento medici nella graduatoria di ammissione per la specializzazione (e quindi con priorità di scelta rispetto agli altri) è stato assegnato a solo cinque delle 51 specialità disponibili. Specialità come dermatologia, chirurgia plastica e neurologia, che offrono grandi prospettive di guadagno nel settore privato e ampia flessibilità oraria, riescono a coprire molto facilmente quasi tutti i posti banditi, mentre altre – e sono proprio quelle dove ci sarebbe più bisogno di personale – fanno molta fatica ad attrarre gli specializzandi. Sempre nel 2022, giusto per fare qualche esempio, solo il 9 per cento dei posti banditi in microbiologia e virologia è stato coperto e molto carenti sono anche radioterapia (coperto il 20 per cento) e medicina d’urgenza (35 per cento)». Due su tre di queste ultime, come avrete notato, sono proprio quelle più importanti in caso di pandemia, e ne abbiamo avuto la drammatica conferma negli anni del COVID-19.

Per quanto riguarda il turnover, secondo le stime l’inversione di tendenza avverrà nel 2029. Da quell’anno cioè i nuovi medici saranno più di quelli che andranno in pensione. Il problema è che poi, visto che in media la formazione di un nuovo medico richiede tra i nove gli undici anni, l’aumento delle iscrizioni di oggi porterà probabilmente a un esubero di personale domani. Certo, una volta che le specializzazioni più ambite saranno piene, è possibile che inizino a riempirsi anche quelle meno attrattive. Ma non bisogna dimenticare che, se non migliorano le condizioni di lavoro di queste ultime, c’è anche la possibilità che molti neolaureati scelgano di andare all’estero, come già oggi succede. A questo bisogna aggiungere la storica difficoltà del nostro paese di attrarre personale da altri paesi, che almeno nel breve periodo potrebbero tamponare carenze che in alcune aree del paese sono molto evidenti. Ma anche in questo caso bisogna mettere mano alle condizioni di lavoro, nonché semplificare le procedure burocratiche.

(Foto di Thirdman su Pexels)

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