Il 30 gennaio sono stati pubblicati i risultati di un importante sondaggio sulla trasparenza dei bilanci statali, l’Open Budget Survey. La rilevazione non si occupa solo di trasparenza, ma anche di partecipazione alla redazione del budget, delle informazioni rese pubbliche spontaneamente dai governi una volta disponibili, e di quelle a cui si può avere accesso su richiesta. Il rapporto, spiega Sbilanciamoci.info, viene «redatto ogni due anni da esperti della società civile e coordinato dall’International Budget Partnership».
Una nota metodologica, prima di addentrarsi nei risultati: «Il questionario da cui si sviluppa l’Open Budget Survey è composto da 145 indicatori volti a indagare tre dimensioni cruciali che riguardano il modo in cui i Governi si occupano della partita della finanza e dei conti pubblici: la trasparenza del bilancio, ossia la quantità, il livello di dettaglio e la tempestività dei Governi nel rilasciare informazioni in questo ambito; la partecipazione al processo di bilancio, che considera le opportunità fornite dalle istituzioni alla società civile e ai cittadini in generale di incidere sui processi deliberativi e decisionali in merito a come le risorse pubbliche vengono raccolte e utilizzate; il controllo sul bilancio, che analizza la capacità da parte degli organismi di supervisione e vigilanza (in primo luogo, nel caso italiano, il Parlamento e la Corte dei Conti) di monitorare l’impiego delle risorse pubbliche».
Il questionario viene sottoposto a soggetti indipendenti esperti di finanza pubblica (nel caso dell’Italia se n’è occupata la rete Sbilanciamoci!). Per maggiore obiettività, il questionario è poi analizzato da un esponente anonimo della società civile, scelto sempre nell’ambito del settore finanziario. In sintesi, a livello globale il sondaggio registra un impegno non molto spiccato tra i governi del mondo nel gestire con trasparenza le questioni di bilancio. Come spiega Warren Krafchik, direttore esecutivo dell’International Budget Partnership, «la stragrande maggioranza dei Paesi nel mondo potrebbe rapidamente migliorare la trasparenza, semplicemente rendendo disponibili i documenti che già di fatto produce. Dal momento che essi pubblicano molti altri documenti online, potrebbero senza problemi fare lo stesso anche per quelli che riguardano nello specifico il bilancio pubblico». Manca qualcuno che spinga il bottone giusto: questioni organizzative o manca la volontà?
Nel caso dell’Italia, sembrerebbe che l’aspetto su cui siamo più carenti sia quello partecipativo, mentre su alcuni punti la nostra pubblica amministrazione ha delle pratiche piuttosto virtuose. Per esempio, siamo tra gli 11 Paesi (su 115 considerati) che pubblicano tutti gli otto “documenti chiave” relativi al budget statale. La compagnia è piuttosto eterogenea e per l’Europa, oltre all’Italia, figurano solo i nomi di Bulgaria e Svezia. In generale, il nostro “Open Budget Index” è cresciuto di 15 punti rispetto alla prima rilevazione, passando da 58 nel 2010 a 73 nel 2015; valore che si è mantenuto costante anche nel 2017. Siamo sui livelli di Regno Unito e Stati Uniti, così come di Francia e Germania (i primi tre partivano da livelli molto più alti, vicini a 90 nel 2006, poi sono andati decrescendo). Se però “scorporiamo” l’indice si scopre il punto debole italiano, che dicevamo essere la partecipazione, su cui si registra un desolante 7 (su 100). Molti altri Paesi del blocco occidentale sono carenti da questo punto di vista, con l’eccezione del Regno Unito (57). Del resto (anche se non dev’essere un alibi) nessuno dei Paesi considerati ottiene un voto positivo in tutte e tre le aree menzionate più su.
Bisogna anche capirsi su cosa si intenda per “bilancio partecipato”, o “partecipativo”. In democrazia rappresentativa non è prevista la partecipazione diretta dei cittadini nella redazione delle norme in generale, tanto meno del bilancio statale. È bene però che ci si impegni a moltiplicare le occasioni di confronto e proposta da parte della società civile, che può dare delle interessanti linee guida alla politica. Il fatto che la democrazia preveda di delegare ai parlamentari l’esercizio del potere legislativo ed esecutivo non dev’essere la scusa per confinare la partecipazione dei cittadini al solo atto del voto durante le elezioni. Istituire ulteriori momenti di confronto e dibattito tra cittadini e politica è un ulteriore mezzo per migliorare il funzionamento della democrazia, in modo da “correggere” periodicamente la delega che ogni cinque anni affidiamo ai parlamentari. Così come lo Stato vigila sui comportamenti dei cittadini, al fine di rilevare quelli scorretti e promuovere le buone prassi, è bene che possa avvenire anche il contrario. Non per sanzionare ma per creare un clima di collaborazione, invece che di contrapposizione.