Pochi giorni fa l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha accettato di adottare una risoluzione, promossa inizialmente dall’Italia, che dovrebbe impegnare le case farmaceutiche a rendere più trasparente il prezzo dei farmaci.
Prezzi eccessivi per alcuni farmaci
«L’Oms stima che cento milioni di persone all’anno sprofondino in condizioni di povertà a causa del prezzo pagato per le medicine – ha scritto l’Economist in un articolo tradotto da Internazionale –. Inoltre ci sono prove del fatto che i prezzi imposti per alcuni farmaci siano, in realtà, eccessivi». Il problema riguarda soprattutto alcuni farmaci salvavita e per la cura del cancro. Ancora dall’Economist: «Il prezzo di listino dell’Orkambi è di circa 23.200 dollari al mese negli Stati Uniti, quello del Keytruda è di 13.600 mensili (per tutta la durata del trattamento). È servito che il problema toccasse i paesi ricchi per spingere la questione del costo eccessivo delle medicine in cima alle preoccupazioni sanitarie globali, anche se sono decenni che i paesi in via di sviluppo si lamentano della cosa». Non si sa di preciso quanto margine di profitto aggiungano le case farmaceutiche sul singolo farmaco, perché l’unica informazione pubblica in merito è il prezzo di listino. Un dato che in sé dice poco perché, a fronte del prezzo di partenza, i singoli governi possono negoziare sconti e accordi volti ad abbassare anche notevolmente il costo per il paziente (o per il sistema sanitario). «Els Torreele della ong Medici senza frontiere sostiene che ad acquirenti diversi, anche dello stesso paese, possono essere fatti pagare prezzi differenti. “I prezzi vengono tenuti segreti e agli acquirenti viene richiesto di firmare accordi di confidenzialità”, dice. E nonostante, in teoria, ai paesi più poveri possa essere fatto pagare un prezzo ridotto rispetto a quelli ricchi, alcuni temono che in realtà sia vero il contrario».
Un accordo “annacquato” e non vincolante
Sul sito del Ministero della salute la notizia è stata accolta con toni trionfalistici. E in effetti si tratta comunque di una decisione che segna un cambiamento importante negli equilibri mondiali del settore. Tuttavia, Reuters definisce l’accordo watered-down, annacquato. La bozza presentata inizialmente prevedeva infatti di delegare maggiori poteri all’Oms in termini di raccolta e analisi dei dati sugli effettivi costi di produzione rilasciati dalle case farmaceutiche, ma il testo finale non comprende questa disposizione. Il Foglio inoltre, molto critico nei confronti dell’iniziativa del Ministero, sottolinea che si tratta di «un atto privo di valore vincolante». Il quotidiano ironizza poi sul profilo dei Paesi che hanno sottoscritto la mozione, citando solo Andorra, Sri Lanka, Malesia, Kenia, Serbia, Uganda. In realtà, oltre a questi (e molti altri) figurano anche Brasile, Spagna e Portogallo. Gli Stati Uniti hanno accolto con entusiasmo la risoluzione, visto che da alcuni anni hanno avviato una campagna interna di trasparenza verso le case farmaceutiche. Germania, Francia e Giappone hanno invece reagito in maniera opposta, perché l’accordo metterebbe a rischio la possibilità negoziare forti sconti sui farmaci con le aziende produttrici.
Un buon punto di partenza
Per molti attivisti, per quanto depotenziata, la risoluzione rappresenta un buon punto di partenza per introdurre maggiore trasparenza in un settore dove prevalgono segreti e riservatezza nelle informazioni. «Dobbiamo sapere il margine di guadagno delle aziende, il costo di produzione, il costo dei test clinici, quanta parte dell’investimento è realmente coperto dalle compagnie e quanto dalle tasse dei cittadini e associazioni non-profit», ha detto Gaëlle Krikorian di Medici senza frontiere.
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