Nonostante il treno sia uno dei mezzi più economici (pur con continui aumenti delle tariffe) per spostarsi, centinaia di migliaia di persone ogni giorno decidono di rinunciarvi, perché accedervi sarebbe troppo complicato. Si tratta delle persone con disabilità o ridotta mobilità, che purtroppo devono arrendersi ogni giorno di fronte all’impraticabilità di molte stazioni. Ne parla con grande chiarezza Ivan Beltramba su Lavoce.info, in un articolo pubblicato il 30 settembre. Il problema è che molte banchine ferroviarie sono alte 25 centimetri sul piano della rotaia, mentre molti treni hanno l’accesso a 55-60 centimetri da terra. 30 centimetri di dislivello. Questa la misura che ogni giorno impedisce a tante persone di salire su un treno, nonostante ci sia una norma del 1996 (Dpr 503/1996, articoli 24 e 25) che impone che le stazioni e i mezzi di trasporto su gomma siano accessibili alle persone con ridotte capacità motorie. I marciapiedi alti 55 centimetri sul livello della rotaia si vanno diffondendo con grande lentezza, inaccettabile soprattutto se si pensa che il problema sussiste dagli anni ’60 del Novecento, e si è poi consolidato negli anni ’80, quando i treni che prendevano il posto di quelli vecchi erano sempre più alti, mentre le stazioni restavano allo stesso livello.
I problemi spesso cominciano ben prima di raggiungere il convoglio, perché, se non si ha la fortuna di dover salire sul treno che ferma al primo binario, sorge il problema dell’attraversamento delle rotaie. «E qui il problema diventa spinoso – spiega Beltramba –. Rete ferroviaria italiana ha deciso unilateralmente di installare “elevatori” o ascensori solo a patto che il comune o un altro ente o società pubblica si accollino l’onere della manutenzione ordinaria e (soprattutto) del servizio di pronto intervento in caso di guasto e per liberare persone imprigionate. Dato che si tratta di circa 10mila euro all’anno per ascensore, è evidente che pochissimi comuni si sobbarcano la spesa, soprattutto ultimamente. In alcuni casi, sono stati installati dei “montascale”, vittima di vandalismo nel giro di poche settimane e che comunque richiedono spesso la presenza di un operatore terzo». Si fa fatica a credere che siano questi gli insormontabili problemi da risolvere per garantire un diritto così basilare, che si potrebbe risolvere con un’invenzione forse meno antica della ruota, ma che con essa funziona talvolta molto bene: la rampa. «Con pendenza 8 per cento si tratta di solito di cinque tronchi da 10 metri e relative piazzole, in totale 60 metri. La rampa ha il vantaggio di non rompersi ed eventualmente permette di rinunciare alla scala. Il problema è che costa circa il triplo dell’ascensore (che viaggia sui 15-20mila euro)». Già, un investimento iniziale più impegnativo, ma con l’indubbio vantaggio di richiedere costi di manutenzione bassissimi o nulli, dato che basta tenerla pulita e illuminata. Non ci sono parti meccaniche in movimento, né circuiti elettrici in funzione.
Molto più semplice, come sempre, investire in nuove tratte dell’alta velocità, più efficaci in termini di comunicazione e “notiziabilità”, anche se poi a godere dei vantaggi delle nuove linee è un numero di passeggeri molto ridotto rispetto agli oneri di costruzione. Molto meno appetibile per l’immagine del governo e di Rfi (Reti ferroviarie italiane, partecipata al 100 per cento da Ferrovie dello Stato) impegnarsi a colmare su tutta la rete quei 30 centimetri. Basterebbe relativamente poco, circa 250 euro al metro quadrato secondo Beltramba: «Se ne è visto un esempio questa estate nella stazione centrale di Bologna dove un marciapiede lungo oltre 300 metri e largo 9 con tre sottopassaggi (cinque scale) e tre ascensori (due di servizio) è stato alzato in 15 giorni, interrompendo completamente i due binari adiacenti (10 e 11)». Ci sarebbe anche un’altra opzione, ancora meno dispendiosa: aggiungere una carrozza a pianale ribassato su tutti i treni, in modo da dare un punto d’accesso sicuro a tutti coloro che ne hanno bisogno.
Va ricordato che le persone interessate da tali interventi sono molte di più di quanto si possa immaginare, perché la “ridotta mobilità” non è solo quella permanente di persone con disabilità o anziani, ma anche quella temporanea di chi si trova a trasportare una carrozzina o a viaggiare con molte valigie. Che dite, ce la farà il governo a fare questo salto in avanti? Bastano 30 centimetri.