A gennaio è stato presentato dal ministro agli Affari regionali, turismo e sport, Piero Gnudi, il documento “Italia 2020” (qui in versione pdf dal sito del governo), ossia il piano strategico di sviluppo del turismo in Italia. Il piano propone una serie di 61 azioni, raggruppate in sette linee di intervento, da mettere in campo da qui al 2020 per portare il nostro Paese a sfruttare nel modo più proficuo un settore, quello del turismo, che notoriamente ha sempre faticato a diventare fattore trainante della nostra economia, nonostante il grande patrimonio artistico e naturale che l’Italia può offrire. Prima di entrare nel merito ci permettiamo due osservazioni. La prima è l’intempestività della pubblicazione, presentata in Consiglio dei ministri dopo le dimissioni di Mario Monti, e quindi in una condizione di governo che aveva i giorni contati. Non è certo positivo il fatto che le linee guida per il settore turistico arrivino a un anno dall’insediamento del ministro, e quando questi ha già chiaro che sarà qualcun altro, dopo di lui, a dover sbrigare la questione, tutt’altro che semplice. Inoltre, e veniamo alla seconda osservazione, resta un fatto grave, per quanto non nuovo, che il Ministero del turismo sia tuttora un dicastero senza portafoglio, chiamato quindi a redigere documenti e fare proposte, ma senza possibilità di influire sul bilancio dello Stato -e in effetti nelle pagine di “Italia 2020” si indica come opportuno, tra le altre cose, il rafforzamento del ruolo del ministero-.
Venendo al documento, questi gli obiettivi di fondo: ridare leadership all’Italia nel settore turistico (e produrre 30 miliardi di pil), creare 500mila nuovi posti di lavoro, offrire un’opportunità al sud Italia per agganciarsi alla crescita del Paese. Tutto bene fin qui, ma il sito Lavoce.info, che come sempre fa le pulci a tutto ciò che altrove è accettato acriticamente, fa notare innanzitutto il problema della gestione della competenza sulla materia tra Stato e Regioni. Queste ultime, in base alla riforma del titolo V della Costituzione del 2001 (che il piano propone di “restaurare”), hanno infatti potestà esclusiva sulle politiche del turismo, e non spetta quindi allo stato legiferare in proposito. Il piano in questione potrebbe essere quindi destinato a scontrarsi col conflitto di attribuzione che potrebbe essere sollevato, e che costringerebbe la Corte costituzionale a dare ragione agli enti locali -come ha già fatto-, annullando l’efficacia della legge.
Esterofilia e scarsa visione del mercato turistico sono le principali accuse che Lavoce.info muove al documento: «Il primo sbandamento del Piano sta nel considerare i soli mercati esteri, trascurando invece quello interno, che in Italia è largamente preminente. Una scelta logica se la pietra di paragone non fosse la Spagna, che invece ha un mercato domestico assai inferiore. In questo filone esterofilo si colloca un altro limite del Piano, quello di considerare strategici solo il segmento affluent dell’Europa occidentale e i paesi Bric (Brasile, Russia, India e Cina). Come se non fossero i viaggiatori continentali low cost con le loro microvacanze ad aver tenuto in piedi negli ultimi anni il mercato del turismo europeo. Inoltre, per “Turismo Italia 2020” esistono solo i luoghi, le trenta-quaranta destinazioni-obiettivo, e non invece le motivazioni, i tanti turismi che negli ultimi anni hanno trasformato un “mercato di massa” in una “massa di nicchie”. Riaffiora poi in molti passaggi quell’“ansia da dimensione” che costituisce un po’ il peccato originale del Piano: ci si lamenta perché abbiamo alberghi più piccoli di quelli spagnoli, c’è una sola Costa Smeralda, siamo frammentati tra ventuno Regioni e province autonome, il turismo è la “cenerentola” dell’economia italiana, e così via. Si prescrive quindi di attirare e facilitare i mega-investimenti, creare nuovi grandi poli di attrazione e ricettività, “rottamare” le piccole imprese, stimolare una fondazione di eccellenza per gli studi universitari, far nascere un grande tour operator incoming (esperienza già fallita più volte)». Insomma, in una questione di per sé bollente e su cui da anni si parla senza intervenire in maniera efficace e una visione di lungo periodo, si diffonde un documento che, probabilmente, nessun futuro ministro vorrà prendere come testo di riferimento. Che si tratti di un’operazione di facciata?