Il turismo, all’inizio un lusso per pochi, oggi è diventato un fenomeno di massa. Talvolta lo scopo del viaggio sembra essere testimoniare il proprio passaggio per un luogo, “marcandolo” con un selfie. Questa e altre riflessioni in un articolo del sociologo Vanni Codeluppi per Doppiozero, di cui riportiamo un estratto.
La cultura moderna si è da sempre caratterizzata per un forte orientamento verso il movimento. Cioè per la sua ferma volontà di promuovere gli spostamenti delle persone in tutte le loro forme. Anzi, come ha sostenuto il sociologo francese Rodolphe Christin nel recente volume Turismo di massa e usura del mondo (Elèuthera), nelle società contemporanee la mobilità viene addirittura considerata una garanzia di soddisfazione psicologica, un obbligo senza il quale non si può aspirare ad essere pienamente realizzati come esseri umani. Vale a dire che «la mobilità è diventata un fattore che dà efficacia alla propria performance esistenziale, è un modo per riempire la propria vita e realizzarne gli obiettivi, è un mezzo per conseguire la felicità personale e sociale e per materializzare i propri fantasmi» (p. 29). Non vale cioè la pena accontentarsi di quello che è collocato vicino, perché quello che si trova lontano, che dev’essere raggiunto tramite un viaggio, può sicuramente possedere un valore superiore.
Di conseguenza, lo sviluppo della mobilità favorisce l’espansione del capitalismo contemporaneo, permettendo l’ampliamento della zona d’influenza del mercato. Ma, soprattutto, favorisce lo sviluppo del turismo, dato che il turista può essere considerato un soggetto che si muove per il mondo alla ricerca di esperienze particolarmente gratificanti. Il turismo, infatti, è nato nell’Ottocento come un fenomeno nobiliare e d’élite, ma è stato progressivamente interessato nel corso dei decenni da un processo di radicale massificazione. Dunque appare evidente che, come ha affermato Christin, «l’uso del mondo si sia degradato in usura del mondo» (p. 18). E che pertanto sia necessario impegnarsi in maniera approfondita per combattere tale usura. Per recuperare cioè un senso per il viaggio, per far sì che questo recuperi tutta la sua singolarità, il suo radicamento nel mondo e il suo ancoraggio con la corporeità.
Questa però si configura come una lotta estremamente difficoltosa, perché il turismo non è solamente quello che oggi è il settore economico più significativo, ma anche un potente fenomeno sociale e culturale. Marco d’Eramo ne ha dato conto qualche tempo fa nel libro Il selfie del mondo. Indagine sull’era del turismo (Feltrinelli), dove ha raccontato come ogni territorio geografico e culturale sia stato progressivamente dotato di una specifica identità che può essere sfruttata per esercitare una capacità d’attrazione nei confronti della domanda turistica.
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(Foto di Steve Gale su Unsplash)