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Da qualche giorno, ossia da quando il governo ha presentato il Def (Documento di economia e finanza), non si parla che di un fantomatico “tesoretto” (definizione data dai giornalisti) da 1,6 miliardi a disposizione dello Stato. Ma questi soldi ci sono davvero? La risposta è contenuta proprio nel Def, nelle cui pagine si parla delle stime dell’esecutivo in materia di rapporto tra deficit e Pil (Prodotto interno lordo) per il 2015. In particolare, si ravvisa uno scarto di uno 0,1 per cento tra il rapporto programmatico (2,6 per cento) e quello “tendenziale” (2,5 per cento). A fine anno ci si potrebbe trovare quindi con lo 0,1 per cento del Pil, circa 1,6 miliardi, disponibile per essere speso per qualsivoglia intervento.

L’annuncio ha un che di ridicolo, ma anche di inquietante. Di ridicolo c’è il fatto di far emergere dalle carte una somma frutto di stime assolutamente non attendibili (negli ultimi anni le previsioni sul Pil sono sempre state smentite, al ribasso, dai dati reali), presentandola come elemento di novità e di grande interesse. Di inquietante c’è il fatto che il governo abbia espresso l’intenzione di spendere già nelle prossime settimane questi soldi, col rischio di non avere a fine anno le coperture per compensare gli interventi fatti, e dover quindi procedere a ulteriori tagli in altri settori d’intervento pubblico.

Il giochino ricorda un po’ quello del 2009, quando si annunciò un taglio dell’Irpef e dell’Irap grazie al rientro di capitali derivante dallo scudo fiscale per i depositi illegali su conti correnti esteri. Al governo c’era Silvio Berlusconi e il ministro dell’Economia era Giulio Tremonti. Alla fine i soldi rientrati furono molti meno e dell’abbassamento delle tasse non si fece più nulla. Qui la strategia è più o meno simile, come lo è l’incertezza che le risorse ci siano, ma l’intenzione di spendere pare più concreta.

Fabrizio Forquet, sul Sole 24 Ore, definisce il tesoretto un’“arma di distrazione di massa”, e si chiede come sia possibile “spararla grossa” in questo modo di fronte a un bilancio statale che richiederebbe interventi ben più seri e strutturati, e in cui si temporeggia per la copertura di operazioni come gli incentivi alle nuove assunzioni contenuti nel Jobs Act, che richiederebbero pochi milioni di euro: «Il governo non è ancora riuscito a trovare la copertura alla decontribuzione per chi assume stabilmente. Si tratta di poche decine di milioni. Eppure il decreto è rimasto fermo un mese alla ragioneria perché si individuassero quelle risorse e, alla fine, è stato sbloccato solo ricorrendo al paradossale aumento generalizzato dei contributi. Una figuraccia per il governo, che ha dovuto fare marcia indietro. Ma anche il segno di quanto sia difficile ritagliare risorse disponibili in un bilancio già sotto stress. Un bilancio che per quest’anno vede affidati 5,2 miliardi di tagli alla difficile trattativa con gli enti locali e le Regioni, che conta su 3,3 miliardi di lotta all’evasione tutti da realizzare, che confida in un via libera tutt’altro che scontato della Ue su 1,7 miliardi frutto di split payment/reverse charge e, non ultimo, deve ancora trovare circa un miliardo di euro per la bocciatura della Robin tax da parte della Corte costituzionale». Una sintesi piuttosto impietosa delle maggiori questioni lasciate in sospeso dal governo, che quindi farebbe bene a lasciare riposare tra le pieghe del Def questo teorico tesoretto, ed occuparsi di questioni ben più pratiche e urgenti con le risorse che ci sono.

Da ultimo, a lasciare perplessi è la generalizzata “corsa” ad aggiudicarsi il bottino. Da ogni parte si reclama un utilizzo diverso del tesoretto, chi rivendicando maggiore impegno sull’occupazione, chi lanciando slogan utili a smuovere la pancia degli elettori, chi invece denunciando il fatto che i soldi non ci sono. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi dal Salone del mobile di Milano sottolinea l’importanza di «ridare speranza agli italiani». Va bene, ma anche un po’ di serietà non guasterebbe.