950mila euro in quattro anni. Una cifra di per sé spaventosa per un comune mortale nel 2013. Ma c’è chi sfiderà la paura e avrà il coraggio di incassarla, anche se non si sa ancora il nome di questo prode cavaliere. E per cosa guadagnerà tale cifra? Per studiare il modo di abbassare la spesa pubblica, niente meno. Per prima cosa, al futuro commissario alla spending review suggeriamo di auto abbassarsi lo stipendio, sarebbe già un ottimo inizio. Sul Sole 24 Ore è spiegato in che modo sarà distribuita la somma: «L’esperto, che verrà nominato con un Dpcm (decreto del presidente del Consiglio dei ministri, ndr) su proposta del ministro dell’Economia, potrà contare su un assegno massimo di 150mila euro quest’anno, 300mila nel 2014, altrettanti nel 2015 e 200mila nel 2016, ultimo anno di incarico. In totale quasi un milione di euro».

Non si va insomma oltre la soglia fissata da uno dei provvedimenti approvati durante il governo di Mario Monti, ma non è che sia un bell’esempio di morigeratezza per una carica che proprio di contenimento della spesa deve occuparsi. Altra cosa grave è che non è previsto alcun divieto di cumulo con altre fonti di reddito. Si trattasse anche di un manager di alto livello, del settore pubblico o privato, i suoi introiti andrebbero a sommarsi. Stessa cosa nel caso di un pensionato (che viste le competenze richieste già percepirebbe un assegno mensile notevole). In ogni caso, ci troveremmo a strapagare, e magari anche per due volte, con soldi dello Stato colui che dovrebbe dire allo Stato come risparmiare in maniera saggia. Andiamo oltre ciò che dicevamo poche righe più sopra: la sua prima (e a quel punto unica) decisione esemplare dovrebbe essere rassegnare immediatamente le dimissioni.

Una scelta che ha dell’incredibile (sì, abbiamo ancora la forza di stupirci e indignarci) per un Paese come il nostro. Ma d’altra parte stigmatizzavamo già venerdì la spiccata capacità di questo governo di parlare d’altro. In pochi giorni stanno venendo a galla tutti i limiti di un governo nato per assicurare stabilità, non al Paese (come vuole farci credere) ma a se stesso: incompetenza di fronte a situazioni difficili, spirito di conservazione superiore a quello di servizio nei confronti delle istituzioni, stallo di fronte alle decisioni dirimenti. Peraltro proprio Enrico Letta pochi giorni fa aveva dichiarato il suo dissenso verso stipendi troppo alti per i manager pubblici: «Penso anch’io che sia uno scandalo che in società private e pubbliche ci siano dirigenti che guadagnino multipli insopportabili rispetto a qualsiasi dipendente pubblico».

E quindi? Diamo un milione di euro in quattro anni a una sola persona per suggerire come tagliare gli altri stipendi? Sarebbe un’offesa all’intelligenza pensare che qualcuno all’interno del governo ci creda davvero. Ci vuole un commissario del genere per stabilire che 621.253,75 euro all’anno al capo della polizia sono troppi? E che lo stesso si può dire dei 562.331,86 euro percepiti dal ragioniere generale dello Stato, Mario Canzio? L’elenco sarebbe ancora lungo e doloroso (salvo per le persone in esso menzionate), ma ci fermiamo qui. Se è vero che grandi retribuzioni servirebbero ad attrarre grandi competenze e professionalità, forse sarebbe il caso di cambiare i criteri di scelta per queste cariche, e magari rinnovare la rosa dei nomi, che inizia a emanare un cattivo odore, essendo lì, sempre la stessa, da tanti anni.