di Federico Caruso
La storia della piccola Emma ha commosso tutta Italia, prima per la sua drammaticità, poi per il lieto fine. Emma è una bambina di tre anni e mezzo, di cui l’ultimo vissuto all’ospedale infantile Regina Margherita di Torino, collegata a un cuore artificiale a causa di una cardiomiopatite dilatativa da cui era affetta dalla nascita. 370 giorni di attesa, e finalmente all’inizio di marzo la notizia che il cuore nuovo è arrivato, e il trapianto è stato effettuato con successo. Purtroppo, in questi casi, l’altra faccia della medaglia è che un piccolo donatore ha perso la vita, e si tratta di un bimbo di cinque anni, morto al Gaslini di Genova per encefalite acuta ricorrente.
Ma al di là del fatto di cronaca, oggi mi permetto di raccontare una piccola esperienza personale che mi ha portato, alcuni mesi fa, a incontrare Emma. A settembre del 2012, come musicista (attività che esercito parallelamente a quella di giornalista), mi è capitato di prendere parte a uno spettacolo per il festival MiTo -assieme all’artista Michele Cafaggi e al musicista Davide Baldi-, che per l’appunto di svolge a Milano e Torino. Dopo la data nel capoluogo piemontese, l’organizzazione ci ha chiesto la disponibilità a fermarci un giorno in più, per alla sotto-rassegna “MiTo per la città”, un calendario di spettacoli gratuiti realizzati in quartieri dove di solito non arrivano grandi proposte artistiche (teatri di periferia, chiese, carceri, ospedali). La nostra missione sarebbe stata intrattenere i bambini ricoverati al Regina Margherita per qualche ora nella prima parte del pomeriggio.
Michele e io abbiamo accettato con piacere, non avendo impegni lavorativi il giorno seguente. Per lui l’esperienza non era affatto nuova, come clown rientra tra le sue normali mansioni quella di fare animazione negli ospedali sotto lo pseudonimo di “dottor Cluney” -alla Patch Adams, per capirci-, attività che svolge abitualmente con la fondazione Theodora, di Milano. Per il sottoscritto, si trattava di un esordio assoluto. Ammetto che non è stato facile entrare in certi reparti, su tutti quello di oncologia pediatrica. Entrando nelle stanze ti si apre davanti agli occhi una sofferenza, quella di un bambino, che precede il tuo ingresso e seguirà la tua uscita. E tutto ciò che puoi fare è portare un pizzico di spensieratezza, un momento di leggerezza in un’esistenza schiacciata dal peso della malattia contro un letto d’ospedale. Dal canto mio, ho cercato di cavarmela improvvisando delle serenate alla “guitalele” (un ibrido tra chitarra e ukulele), per le dolcissime ragazzine che ci hanno accolti sempre col sorriso, l’esperienza di Michele ha fatto il resto.
La visita a Emma è stata l’ultima. Viveva un po’ isolata dagli altri bambini, per via del tipo di patologia di cui soffriva. L’abbiamo trovata circondata dall’affetto dei suoi cari, su tutti i genitori Maria e Guillermo, oltre al personale dell’ospedale. Noi abbiamo cercato di arrangiarci come potevamo, consapevoli di essere un piccolo ma importante diversivo nella sua lunga giornata ospedaliera. Non saprà mai quanto ci ha fatto emozionare il suo sguardo innocente e puro, in quei pochi minuti passati assieme. Oggi, dopo undici ore di sala operatoria, la prognosi di Emma è «ultra-riservata», ha detto il primario della Cardiochirurgia, Carlo Pace Napoleone, ma possiamo sperare che per lei una nuova vita stia per iniziare. Colgo l’occasione, in calce a questo breve racconto, per ringraziare tutti i “dottori clown” che ogni giorno si impegnano a portare il sorriso nelle corsie d’ospedale. Ora ho capito l’importanza del vostro lavoro.