Ci sganciamo per un attimo dai nostri temi abituali, o meglio proviamo a guardarli in prospettiva, per proporvi qualche riflessione a proposito di un meccanismo che si riproduce sempre più spesso, sui media come sui social media e nel dibattito pubblico in generale: quello del ribaltamento.
Partiamo da casi concreti. Sono diventati sempre più frequenti, ad esempio, quei casi in cui si denuncia la mancanza di candidati per annunci di lavoro. Invece di porre l’attenzione sul tipo di lavoro, sulle condizioni più o meno precarie proposte, su cosa c’è alla base di quell’annuncio andato deserto, la prima reazione è prendersela con i “giovani che non hanno voglia di lavorare”. Non è un tema nuovo (ci siamo tornati spesso anche su ZeroNegativo), tende ad avere una sua stagionalità, ma negli ultimi tempi sembra avere incontrato un contesto retorico che gli ha dato nuovo vigore.
Altra questione su cui si tende a dare la colpa ai giovani è quella del costo degli affitti per gli studenti universitari fuori sede. Stiamo parlando di ragazzi e ragazze che non chiedono di avere accesso a chissà quale privilegio: una stanza a prezzi ragionevoli nella città in cui hanno scelto di studiare. Invece di empatizzare con le loro proteste, spesso li si sente apostrofare come poco disponibili ad accontentarsi di fare i pendolari. Ancora una volta, invece di puntare l’attenzione sulle condizioni alla base del fenomeno, si scarica la colpa su chi lo subisce, e ha pure l’ardire di protestare. Poco importa se tutto attorno ci sono politiche per la casa insufficienti, condizioni che spingono sempre più studenti ad andare all’estero (e sempre meno stranieri a venire in Italia a studiare). Per non parlare di quei giovani che non hanno nemmeno “voglia di studiare”. È così, evidentemente, che si spiega il fatto che siamo il secondo peggior paese in Europa (peggio di noi fa solo la Romania) in termini di laureati: poca volontà.
Sono gli stessi giovani che non fanno più figli, proprio perché non riescono a fare quel passo che permetterebbe loro di affrancarsi dalla famiglia, fare esperienze, crescere. Intorno hanno una società che non dà loro opportunità e li costringe ad appoggiarsi alla famiglia per lunghi anni (almeno chi ha questa fortuna). Una società che, invece di analizzare i fattori che tolgono opportunità, se la prende – ancora una volta – con chi denuncia il problema.
Di giovani si è parlato molto ultimamente a causa delle iniziative di gruppi di attivisti come Ultima generazione che, con le loro azioni, cercano di sensibilizzare sui temi del cambiamento climatico, della transizione energetica, delle politiche ambientali. Possono piacere o non piacere gli “imbrattamenti” e le altre campagne portate avanti da questi gruppi, ma resta il fatto che invece di convergere sul tema ambientale, il dibattito è avvitato sul fatto che tali azioni siano o meno accettabili, appropriate, legittime. Si oppongono argomenti come “certo, voi avete ragione, ma le persone hanno bisogno di riscaldare la casa, rinfrescarla in estate, usare l’auto”. Come se i disagi provocati da una piena transizione ecologica fossero maggiori di quelli che stiamo già vivendo e che vivremo a causa dell’aumento delle temperature, della qualità dell’aria che peggiora, delle microplastiche ormai onnipresenti.
Il discorso si potrebbe estendere alle migrazioni, un tema che ha messo d’accordo praticamente tutti i governi negli ultimi decenni. A fronte di un fenomeno dato da difficoltà oggettive che portano le persone ad affrontare un viaggio pieno di pericoli, ce la si prende con i migranti stessi, che dovrebbero convincersi a non partire. Quello delle migrazioni è ormai un fenomeno consolidato, eppure, invece di organizzarci per gestirlo al meglio e beneficiare anche delle sue ricadute positive, cerchiamo di convincerci che sia “un’emergenza”. Ma appunto, se l’emergenza è perpetua, diventa un fatto strutturale, da affrontare in quanto tale.
Proseguendo oltre: quando si parla di mancanza di medici, con chi ce la prendiamo? Con i medici, che decidono sempre più spesso di lasciare l’impiego pubblico per operare da privati (spesso nelle stesse strutture pubbliche). Li si biasima perché, in cerca di maggiori guadagni, tradiscono i valori professionali. Pochi si chiedono perché questo avvenga, quali siano gli errori strategici di lungo corso che portano l’Italia ad avere sempre meno medici, sempre più anziani. Ancora meno quelli che si chiedono quali condizioni di stress lavorativo portino molti medici a passare al privato, come se la scelta di fare il medico implicasse l’accettazione di qualunque sacrificio per un bene superiore, anche a costo della propria salute psico-fisica.
Ma forse il caso più emblematico di ribaltamento emerge quando si parla della guerra in Ucraina. Non è infrequente sentir dire a giornalisti, opinionisti, politici, gente comune, che l’Ucraina dovrebbe arrendersi all’evidenza che ormai la guerra è persa, e che questa sia l’unica via per avviare un tavolo diplomatico, in un perfetto esempio di colpevolizzazione della vittima.
Nel titolo di questo post parliamo di “mondo” al contrario. Forse ci siamo allargati troppo. In realtà, fuori dall’Italia, almeno nei paesi che percepiamo come simili al nostro, le cose vanno diversamente. C’è generalmente meno animosità, una vitalità maggiore, più mobilità sociale. Pur con tutte le difficoltà che accomunano questo periodo, altri paesi guardano al futuro, provando ad anticipare i cambiamenti. Sarebbe bene che provassimo anche noi ad affrancarci da un eterno presente a cui siamo affezionati, ma che in realtà ci è solo d’intralcio.
Col sangue si fanno un sacco di cose
Le trasfusioni di sangue intero sono solo una piccola parte di ciò che si può fare con i globuli rossi, le piastrine, il plasma e gli altri emocomponenti. Ma tutto dipende dalla loro disponibilità, e c’è un solo modo per garantirla.