Finalmente in Europa si torna a parlare di Tobin Tax. E l’Italia, contrariamente a quanto sembrava intenzionata a fare secondo le parole del presidente del Consiglio Mario Monti, è tra coloro che stanno portando avanti il discorso. Nella notte tra il 9 e il 10 settembre il Consiglio dei ministri ha approvato la cosiddetta “legge di stabilità”, introducendo la tassazione delle transazioni finanziarie, ossia la versione moderna della Tobin Tax, attualmente in vigore solo in Francia. In cosa consista la tassa l’abbiamo spiegato in diversi post, seguendo poi il difficile iter che ha portato il dibattito politico europeo periodicamente a far riemergere l’argomento, per poi sotterrarlo nuovamente. Oggi si può parlare di vera svolta, anche se il cammino per l’entrata in vigore del provvedimento resta ancora lungo (si parla della fine del 2014).

Al momento 11 Paesi membri dell’Unione europea si sono dichiarati favorevoli all’introduzione della tassa, due in più dei nove necessari a formare la cosiddetta “cooperazione rafforzata”, prevista dai trattati Ue. In questo modo la Gran Bretagna, da sempre contraria, non potrà porre il veto. «Sfortunatamente la volontà della società si impone troppo raramente sulle lobby della finanza, ma in questo senso l’esempio della tassa sulle transazioni finanziarie fa ben sperare», ha dichiarato un giornalista del quotidiano tedesco Tageszeitung. Altri, come il direttore del giornale belga De Standaard, fanno notare come sia cambiata profondamente la natura intrinseca della legge, che non incarna più i principi e i valori pensati dall’economista da cui prende il nome: «Non sappiamo a cosa somiglierà, ma è praticamente certo che la tassa sarà diversa da come l’aveva immaginata inizialmente Tobin: è infatti praticamente impossibile mettere fine alla pura speculazione finanziaria. […] Alcuni paesi non parteciperanno perché i grandi attori del mercato vogliono limitare la tassa. E gli introiti? Serviranno per scopi nobili? In realtà copriranno i buchi del tesoro. È un buon proposito, ma non è certo ispirato a grandi ideali come voleva il progetto originario».

E poi ci sono i soliti timori, da sempre sollevati ogni qualvolta si nomina la Tobin Tax, che questa induca gli investitori ad abbandonare i mercati che la applicano, in favore di Paesi in cui le transazioni non sono tassate. A pensarci bene però, il valore dell’aliquota non sembra tale da poter scoraggiare in toto gli investimenti. Piuttosto, allontanerà i capitali degli speculatori finanziari, che comunque non producono ricchezza e anzi rendono instabili i mercati. Se anche queste operazioni si svolgeranno in altri Paesi, le economie di quelli che applicano la tassa non ne saranno penalizzate. Ovviamente, diverse questioni restano aperte, tra cui quella di cosa fare con i soldi raccolti. Ma resta comunque uno strumento interessante, dalle grandi potenzialità e dal valore etico indubbio, anche perché, al contrario delle misure introdotte dai governi europei per tamponare i deficit di bilancio, non va a colpire a pioggia tutti i cittadini, bensì solo gli operatori finanziari, avvicinandosi se non altro al portafogli di coloro che hanno innescato la crisi che oggi stiamo vivendo.

Un ultimo pensiero viene in mente prima di chiudere. Se possiamo pensare positivo in merito alla Tobin Tax, la cui introduzione -anche se dovesse andare tutto liscio- richiederà comunque tempi biblici, perché non attivarsi nel frattempo per un’altra misura, di più rapida attuazione, ossia la stipula di un accordo Italia-Svizzera che permetta di recuperare i capitali depositati laggiù per sfuggire alla tassazione?