A cinquant’anni può vantare un premio Nobel per la pace e quello delle Nazioni Unite per i diritti umani, oltre a una serie di cause vinte contro situazioni di ingiustizia sociale, verso una maggiore tutela della dignità delle persone. Il nobilissimo palmares appartiene ad Amnesty International, che domani compie mezzo secolo. «Aprite il vostro giornale ogni giorno della settimana e troverete la notizia che da qualche parte del mondo qualcuno viene imprigionato, torturato o ucciso perché le sue opinioni o la sua religione sono inaccettabili al suo governo». Così iniziava un articolo pubblicato il 28 maggio 1961 sul quotidiano londinese The Observer, scritto dall’avvocato Peter Benenson, dopo aver letto che due studenti portoghesi erano stati condannati a sette anni di detenzione per aver brindato alla libertà. «Il lettore del giornale sente un nauseante senso di impotenza. Ma se questi sentimenti di disgusto ovunque nel mondo potessero essere uniti in un’azione comune qualcosa di efficace potrebbe essere fatto». Da questa constatazione, inconfutabile come solo un avvocato nato nella terra di Hobbes avrebbe potuto concepire, nasceva la ong dalla candela avvolta nel filo spinato che oggi conosciamo tutti.
Da qui parte la serie di campagne che hanno segnato la storia dell’associazione. Prima quella a favore dei prigionieri dimenticati, poi i tanti appelli a favore di condannati a morte, per una commutazione della pena, e ancora i tanti documenti firmati dalle organizzazioni sovranazionali sotto il “pressing” di Amnesty: sul commercio di armi, sui bambini soldato, sulla pena di morte. Occhi puntati anche sul nostro Paese, dove secondo la ong «Richiedenti asilo e migranti hanno continuato a essere privati dei loro diritti, in particolare per quanto riguarda l’accesso a una procedura di asilo equa e soddisfacente. Le autorità non li hanno adeguatamente protetti dalla violenza a sfondo razziale e, facendo collegamenti infondati tra immigrazione e criminalità, alcuni politici e rappresentanti del governo hanno alimentato un clima di intolleranza e xenofobia» (dal rapporto sulla condizione dei migranti e richiedenti asilo del 2010). Come non ricordare casi come quello di Rosarno, dove l’Italia è stata al centro di episodi di riduzione alla schiavitù dei lavoratori immigrati. Di febbraio l’appello rivolto al governo italiano affinché agisca per l’immediata e incondizionata fine delle violazioni dei diritti umani che stanno avvenendo in Libia. In una lettera inviata al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, al ministro dell’Interno Roberto Maroni e al ministro degli Affari esteri Franco Frattini, il segretario generale di Amnesty International Salil Shetty ha chiesto anche la sospensione della fornitura di armi, munizioni e veicoli blindati alla Libia fino a quando non sarà cessato completamente il rischio di violazione dei diritti umani. Infine, Amnesty International chiede al governo italiano di sospendere le operazioni congiunte con la polizia libica sul controllo dei flussi migratori. Giusto per ricordarci che se anche nel nostro Paese la democrazia è ormai un pilastro fondamentale del sistema istituzionale, non bisogna mai abbassare la guardia sui diritti umani, né sentirsi al di fuori di problematiche tanto complesse.
Domani sarà il momento dei festeggiamenti in tutto il mondo per l’anniversario. In Italia la manifestazione principale sarà a Roma, sede storica della ong, e coinciderà con la quinta edizione delle Giornate dell’attivismo, in cui si chiederà alle persone un impegno concreto nella difesa dei diritti umani. Per brindare simbolicamente ai due studenti che innescarono la nascita di Amnesty International, e per dare continuità al motto di Benenson: «Meglio accendere una candela che maledire l’oscurità».