Il decreto “Milleproroghe” ha introdotto una proroga ai partiti per la presentazione dei rendiconti di spesa dal 2013 al 2015. Nonostante possa apparire il solito “favore alla casta”, l’economista Paolo Balduzzi fa notare che i partiti più grandi sono già in regola con la scadenza. Dunque pone una domanda: qual è il senso di questa misura?

Il comma 11-bis del decreto Milleproghe

La Camera ha approvato in via definitiva la legge di conversione del decreto legge 244/2016 (cosiddetto “Milleproroghe”), introducendo anche la proroga al 31 dicembre 2017, per gli anni 2013, 2014 e 2015, del termine entro il quale i partiti presentano il proprio rendiconto di bilancio, pena una multa di 200mila euro. Un altro favore alla casta, come in tanti, forse frettolosamente, hanno già commentato? O una misura ancora tutta da comprendere?

Prima di provare a rispondere alla domanda, è il caso di spiegare con precisione i fatti. Nel 2012, la legge 96 aveva introdotto «misure per garantire la trasparenza e i controlli dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici» (articolo 9), istituendo, tra l’altro, una commissione che entro il 15 giugno di ogni anno avrebbe dovuto ricevere i rendiconti di bilancio – e una serie di documenti collegati – di quei partiti «che abbiano conseguito almeno il 2 per cento dei voti validi espressi nelle elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati ovvero che abbiano almeno un rappresentante eletto alla Camera medesima o al Senato della Repubblica o al Parlamento europeo o in un consiglio regionale o nei consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano». La pena per la mancata consegna dei documenti è una multa di 200mila euro (introdotta però a partire dal 2016).

A prima vista, la norma contenuta nel Milleproroghe ha il solito vecchio sapore di condono, reso ancora più insopportabile dall’estrema benevolenza con cui i partiti trattano se stessi, a differenza dei cittadini. Tuttavia, al di là della misura che di proroga in proroga rischia di sanare un’inadempienza che avrebbe già dovuto fruttare centinaia di migliaia di euro per le casse dello stato, vale la pena di puntualizzare almeno due aspetti.

Il primo è quello delle responsabilità istituzionali: il decreto legge approvato dal governo non conteneva la proroga, che è stata invece inserita al Senato, e poi confermata dalla Camera, come comma 11-bis all’articolo 5 (qui il testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale). Si tratta quindi di una scelta del parlamento e non di una proposta del governo. Il secondo è quello dei partiti coinvolti: chi sono quei movimenti politici che non ottemperano agli obblighi della legge? E quanti soldi avrebbero già dovuto versare allo stato? Ebbene, dalle uniche due relazioni della commissione che è stato possibile leggere (relative agli anni 2013 e 2014) si evince che gli inadempienti non sono certo i partiti maggiori, ma alcuni gruppi minori o sconosciuti, fortemente caratterizzati a livello territoriale. Addirittura, per il 2013, la relazione aggiornata della commissione afferma che tutti i partiti hanno ottemperato ai loro obblighi. Ma allora cosa è che ci sfugge? A cosa serve una proroga inutile? O inutile non lo è affatto?

Ma il finanziamento pubblico non era stato abolito?

La vicenda non fa che rendere sempre più grottesca la “presunta” abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, operata dal decreto legge 149/2013. L’abolizione, infatti, si applica con una certa gradualità (quattro anni, quindi è ancora in fase di realizzazione). Inoltre, le multe previste dalla normativa sulla trasparenza dovrebbero essere trattenute dai fondi attribuiti ai partiti sulla base del 2 per mille. Ora, il loro ammontare è risultato decisamente sotto le rosee aspettative che avevano i partiti. Vale dunque la pena di chiedersi cosa succede alle sanzioni nel caso in cui i fondi del 2 per mille siano insufficienti a coprirle. Non vengono comminate anche se i partiti continuano a essere inadempienti? La domanda è lecita, visto che lo stesso decreto legge 143/2013 prevede che «le sanzioni applicate non possono superare nel loro complesso i due terzi delle somme spettanti» derivanti dal 2 per mille (articolo 8).

Più che proporre risposte, dunque, qui in realtà si pongono delle domande. E le si pongono direttamente alla commissione interessata: in nome della trasparenza e dell’uguaglianza tra i cittadini, in nome degli equilibri di bilancio e del rispetto dei vincoli europei, a cosa serve, davvero, questa proroga?

Fonte foto: flickr