Quando si parla di inclusione scolastica, spesso si dà per scontato di cosa stiamo parlando. Un articolo su Valigia Blu aiuta a fare chiarezza su alcuni concetti fondamentali legati al tema, in modo da discuterne con più consapevolezza.

Quando si parla di inclusione scolastica è bene tenere presente che la ricerca nel campo è molto fertile e comporta innanzitutto una riflessione sui termini specifici con cui il linguaggio della scuola definisce la questione. In questo senso, le due parole centrali sono “normalità” e “specialità”. Cosa è “normale” e cosa è “speciale” all’interno dell’aula scolastica? Come spiega Dario Ianes, docente di pedagogia speciale presso l’Università di Bolzano,

Per normalità intendiamo la scuola di tutti, il programma di tutti, la partecipazione, l’essere con gli altri, il valore di sentirsi immersi nel flusso.

Essere “speciali”, invece, significa avere un “funzionamento fragile, difficile o addirittura problematico”. Non è necessario che questa fragilità sia certificata o addirittura disciplinata da una legge, come avviene con gli studenti che beneficiano della legge 104, in quanto essere speciali significa avere dei bisogni educativi diversi rispetto agli alunni il cui sviluppo cognitivo e il cui retroterra rientrano nei parametri della norma a cui fanno riferimento le programmazioni scolastiche.

Questa premessa è fondamentale, poiché il discorso pubblico sui bisogni educativi speciali (BES) ha recentemente preso una piega piuttosto inquietante. Di fatto, sempre più spesso c’è chi suggerisce che le classi dei diversi ordini e gradi della scuola pubblica sono affollate di alunni con disabilità e disturbi dell’apprendimento, e che questo eccesso di inclusione, a cui corrisponde una carenza di insegnanti di sostegno, vada a detrimento dell’istruzione curricolare degli studenti normodotati.

Si tratta di un discorso più strisciante che esplicito, anche se non mancano casi di cronaca che evidenziano il problema. All’inizio di questo anno scolastico in una scuola primaria di Bari, ben quattro famiglie hanno chiesto di trasferire i figli in un’altra classe perché infastiditi dalla presenza di alunni non italiani.

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(Foto di rawpixel.com su Freepik)

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