Mentre sulla Siria incombe la decisione del Congresso degli Stati Uniti in merito all’opportunità o meno di intervenire per prendere posizione nel conflitto in corso dal 2011, a un livello molto più basso, terreno, quotidiano, ci sono i problemi della gente. La fuga dei siriani dalle proprie case verso altri Paesi in cerca di asilo è iniziata assieme al conflitto, e non si arresta. Molti sono diretti in Svezia, che ha deciso di offrire la residenza permanente nel Paese ai profughi (sono quasi 15mila quelli accolti finora). Tra questi c’era una donna di 49 anni, infermiera, una persona come ce ne sono tante anche in Italia, nella vostra città, tra i vostri amici. Una donna che non aveva alcuna colpa, se non quella di essere nata in un Paese politicamente instabile, dove molte libertà sono negate, che ha visto negli ultimi anni precipitare la situazione in una vera e propria guerra, di cui finora si sono occupati più che altro i reporter, i freelance come Francesca Borri (di cui abbiamo pubblicato qui uno sfogo ripreso da molti giornali in tutto il mondo).
La donna migrante si trovava su un barcone partito dalla Siria, assieme ad altre 104 persone, tra cui i suoi familiari. L’imbarcazione è stata avvistata al largo delle coste di Siracusa il 28 luglio, ma quando è arrivata a terra la donna dormiva. Non si è mai più svegliata, perché colpita da un arresto cardiocircolatorio che non le ha lasciato scampo, nonostante il trasporto d’urgenza all’ospedale Umberto I. Nel frattempo, tre persone che soffrivano per diversi disturbi ed erano in lista di attesa per un trapianto di organi, hanno inconsapevolmente trovato in quella donna, e nella generosità dei suoi familiari, una speranza. Il marito e i due figli, seppure colpiti dal dolore per il drammatico epilogo di un viaggio che già si preannunciava disperato in partenza, hanno acconsentito alla donazione. E così, racconta l’International Business Times, «concluse le operazione del prelievo, il fegato è stato trapiantato all’Istituto mediterraneo per i trapianti e terapie ad alta specializzazione (Ismet) su un 66enne siciliano, un rene è stato assegnato ad una donna 60enne in urgenza clinica regionale e l’altro è stato trapiantato, sempre all’Ismet, su un 41enne». «È stata un’esperienza toccante, che insegna cosa è la vera solidarietà, –ha dichiarato Maurilio Carpinteri, il medico rianimatore che ha assistito la donna-. Il marito e i due figli in un momento di grande disperazione ci hanno regalato tutto quello che avevano con una dignità davvero esemplare».
Essere utili agli altri nei momenti difficili è una sfida che non è scontato riuscire ad accettare. Tutti ci immaginiamo nell’istintivo atto di aiutare una persona a noi prossima che si trova in difficoltà. Altro paio di maniche è fare un gesto verso uno sconosciuto, subito dopo aver perso un parente stretto. Un gesto che per alcuni versi è forse di più semplice comprensione per chi ha scelto di donare il proprio sangue. Ognuno ha le proprie motivazioni, la propria causa scatenante che l’ha portato a iscriversi all’Avis, ma la gratuità di un gesto come la donazione è un sentimento comune che rende i donatori in qualche modo simili. Parliamo di gratuità in senso lato, ovviamente, che non si esaurisce nel semplice fatto di non ricevere soldi in cambio di sangue, bensì di non sapere quale sarà la destinazione della sacca donata. Potrà essere usata per un trapianto, per operazioni di soccorso, per la cura di malattie croniche. Magari salverà la vita a qualcuno di cui non abbiamo alcuna stima. Non importa, ogni donatore nella propria coscienza sa di aver fatto la scelta giusta, che in questo senso è -oltre che volontaria, periodica, associata, anonima e consapevole, come da articolo 2 dello Statuto Avis- in tutto e per tutto gratuita. Ricordiamocelo ogni volta che ci prende la paura nel vedere i profughi sbarcare, e un piccolo istinto xenofobo si impadronisce di noi perché «ora sono qui e sono un problema». Pensate anche al loro di problema, perché se sono saliti su quelle imbarcazioni è perché non avevano più nulla da perdere.