Con espressioni quali “emergenza immigrazione” si riempiono la bocca in tanti. Ognuno ha la propria formula per “risolvere il problema”. Chi tira in ballo un improbabile blocco navale, chi invece propone di impiegare gratuitamente i richiedenti asilo per lavori socialmente utili. Ci sarebbe una soluzione ben più sensata, anche se nessuno lo vuole ammettere: aprire le frontiere. Andiamo con ordine. L’ultima moda tra coloro che potremmo definire cattivisti (che si contrappongono a quelli che questi ultimi chiamano buonisti) è ripetere fino alla noia che «i barconi vanno affondati prima che partano». Una formula che da un lato esalta i più propensi all’idea che sparare qualche colpo sia sempre buona prassi per far desistere “l’invasore” (scusate l’eccesso di virgolette, ma è per sottolineare l’assurdità di certe espressioni in rapporto al contesto), dall’altro fornisce quel retrogusto pseudo-umanitario con cui si intende che non spariamo per uccidere, ma per evitare che delle persone muoiano mettendosi in viaggio.
L’unica cosa che viene davvero “sparata” di continuo è un mucchio di sciocchezze, mentre i numeri dicono che non c’è nessuna invasione o emergenza: il numero di immigrati in entrata in Italia nel 2015 è in linea con il 2014. Ad aumentare drammaticamente è il numero di persone morte cercando di entrare via mare. «Come ha detto la portavoce dell’agenzia dell’Onu per i rifugiati (Unhcr), Carlotta Sami – riporta Internazionale –, “non siamo in una situazione di emergenza. Siamo in una situazione difficile, ma strutturale”. Secondo l’Unhcr, tra gennaio e aprile del 2015 sono arrivati in Italia 26.165 migranti, mentre negli stessi mesi del 2014 ne erano arrivati 26.644. Non sono aumentati gli arrivi, ma le morti in mare a causa della fine del programma di pattugliamento delle frontiere Mare nostrum, che si è interrotto il 1° novembre del 2014. Nei primi quattro mesi di quest’anno sono morte circa 1.700 persone che cercavano di attraversare il Mediterraneo, mentre si stima che nello stesso periodo del 2014 ne siano morte 96».
Il presidente del Consiglio Matteo Renzi, per mettere d’accordo tutti (buonisti e cattivisti) dicono che la questione va affrontata in quanto lotta al traffico di esseri umani, quindi quelli da perseguire sono gli scafisti, inteso come sinonimo di trafficanti. Magari fosse così semplice. Come ogni criminale che si rispetti, anche il trafficante di migranti sa il fatto proprio, e quindi non sarà certo lui ad accompagnare in prima persona i migranti verso le coste italiane o maltesi o greche. Manderà qualcun altro: un suo dipendente? Men che meno. Spesso lo scafista è uno dei passeggeri che, scelto in base a minime competenze in fatto di navigazione, viene istruito sommariamente su come dirigere a destinazione l’imbarcazione e, in cambio di uno sconto sul viaggio, viene nominato capitano. Lo scafista, quindi, spesso è una vittima, come racconta a Redattore Sociale don Mussie Zerai, presidente dell’agenzia Habeshia.
Altre questioni che i cattivisti ignorano (o fanno finta) le ha scritte in un articolo sul New York Times Philippe Legrain, scrittore ed economista britannico, che sostiene, senza alcun buonismo di fondo, che la migliore politica sull’immigrazione sarebbe aprire le frontiere. A chi pensi che in questo modo saremmo assaliti da un’orda di barbari, la risposta più evidente la danno i fatti: «Dal 2004 al 2007 l’Europa ha aperto i suoi confini a 10 stati ex comunisti, molto più poveri degli altri paesi dell’Ue – sintetizza Il Post dall’articolo di Legrain –. Da allora i 100 milioni di abitanti di quegli stati avrebbero potuto trasferirsi in altre nazioni europee, molto più ricche della loro: a farlo sono state solo 4 milioni di persone, sparpagliandosi. Questo perché, scrive Legrain, le “porte aperte tendono a diventare porte girevoli”: avendo la certezza di poter entrare e uscire liberamente da uno Stato, molti meno cittadini scelgono di trasferirsi definitivamente in uno Stato diverso dal loro, preferendo per esempio fare lavori stagionali per poi tornare nel loro paese di appartenenza».
Va bene, dirà il cattivista, non arriverebbero in massa, forse si autoregolerebbero, ma come la mettiamo con il “furto” di posti di lavoro, che già ora sta mettendo in ginocchio il mercato del lavoro? La risposta è che «“non esiste un numero fisso di posti di lavoro disponibili in uno stato. Arrivando, gli immigrati creano nuove richieste, che per essere soddisfatte portano alla creazione di nuovi posti di lavoro”, ha scritto Legrain. Questo è un equivoco molto comune e un argomento molto diffuso: ma la prova più grande del fatto che sia sbagliato è che l’arrivo nel mondo del lavoro di milioni di donne tra gli anni Sessanta e Ottanta non ha ristretto le opportunità di lavoro per gli uomini ma ne ha create di nuove, rendendo l’intera società più prospera e giusta (insomma: gli immigrati, anche tecnicamente, non “rubano il lavoro”)».
Una cosa che poi i cattivisti non vi diranno mai è che gli immigrati che lavorano contribuiscono al nostro sistema di welfare, pagando le tasse. Molti di loro sceglieranno di tornare nel Paese d’origine senza avere raggiunto i requisiti per ricevere una pensione, versando quindi contributi a fondo perduto. «Le tasse pagate dagli immigrati aiuterebbero anche a diminuire il debito pubblico degli stati europei – spiega ancora Legrain –, che attualmente è di 25mila euro per abitante. Un aumento del 10 per cento della popolazione europea ridurrebbe il debito pro capite di ogni cittadino europeo circa 2.300 euro». Sarebbe bene considerare tutti questi elementi con onestà e senza doppiogiochismi elettorali, invece di seminare panico e diffidenza tra la gente.