Magari è una notizia che non avrà grande seguito nella vita di tutti i giorni, e resterà una “scoperta” curiosa quanto ininfluente. Ma a volte è bello soffermarsi su una favola e credere che possa cambiare il mondo, almeno un pochino. Soprattutto quando la favola si fonde con la scienza e dà vita a un esperimento dai risultati tangibili, come quello effettuato da Duro-Aina Adebola, Akindele Abiola, Faleke Oluwatoyin e Bello Eniola, adolescenti nigeriane con un’età compresa tra i 14 e i 15 anni. Le piccole scienziate «hanno costruito un particolare generatore in grado di funzionare per ben sei ore utilizzando l’urina. E la loro idea non è passata inosservata, ma è stata premiata nel corso della quarta Maker Faire Africa, la fiera nigeriana dedicata a piccoli inventori, che si è svolta nella città di Lagos.
Per una volta il progresso non arriva dal Mit, dal Cern o da altri prestigiosi istituti di ricerca, ma da una scuola nigeriana, la Doregos Private Academy School, dove le ragazze studiano. Il prototipo consiste in «un generatore che converte in energia l’idrogeno contenuto nell’urina, facendo passare il fluido in una cella elettrolitica che separa l’elemento chimico, che in seguito viene “raffinato” attraverso un filtro di purificazione contenente borace liquido, con cui si rimuove l’umidità dal gas. Infine, il gas così purificato viene spinto nel generatore». Certo, il modello è da migliorare, visto che a quanto pare il motore, producendo idrogeno, è ad altro rischio di esplosione. Altro problema è quello igienico, poiché il particolare carburante utilizzato rischia di diventare un’arma batteriologica se non correttamente stoccato.
In realtà, come si sa, le urine sono utilizzate fin dall’antichità per svariati usi, non ultimo il loro effetto “sbiancante” sui denti. Poi (per fortuna, ci permettiamo di aggiungere) sono state sostituite da altri beni che danno lo stesso effetto. La scienza si era inoltre già accorta della possibilità di ottenere idrogeno combustibile con l’urea, composto chimico contenuto nell’urina, che in agricoltura è utilizzata come concime. Ma non è solo l’esperimento in sé ad avere rilevanza, quanto il fatto che sia arrivato dalla Nigeria, e da una città come Lagos, la più grande del Paese, con grandi problemi legati sia alle sue dimensioni (11 milioni di abitanti), sia alle questioni che riguardano tutta l’Africa post-coloniale. Andando sulla pagina dedicata alla notizia sul sito della fiera in cui è stato presentato il progetto, si legge un commento di un utente che riassume perfettamente il problema principale che ancora oggi impedisce all’Africa di riscattarsi come stanno facendo tante altre economie, su tutte quelle dell’America Latina. Eccone la traduzione: «Bella innovazione, se fatta in Europa o negli Stati Uniti sarebbe una grande scoperta, ma viene dall’Africa e non se ne accorge nessuno». Ecco, la realtà dimostra che invece qualcuno se n’è accorto, e infatti se parla dall’inizio di gennaio su vari siti d’informazione. Se poi la cosa cadrà nell’oblio o sarà ripresa da altri istituti (africani e non) per tentare ulteriori sviluppi, è tutto da scoprire.