
«Chi si definisce felice dona in genere più spesso, per cui si può dire che i donatori siano le persone più felici». Ne è convinto Jürgen Schupp, ricercatore presso l’istituto economico berlinese Diw, che insieme al centro di ricerca sociale Wzb ha pubblicato uno studio su donatori di sangue e donatori di somme di denaro in Germania. Piuttosto rilevanti le differenze di genere, di istruzione e reddito nel caso delle donazioni pecuniarie; molto più trasversale la felicità tra i donatori di sangue. «I donatori di sangue si trovano in tutte le fasce sociali, anche se, in generale, sono più rari di quelli che inviano soldi a un ente caritatevole o culturale. Nel 2009 quasi il 40 per cento dei tedeschi ha effettuato donazioni per un totale stimato in 5,3 miliardi di euro, ma solo il 7 per cento ha donato il sangue» (da Vita del 5 agosto). Indipendentemente dal fatto che sia la felicità a invogliare alla donazione o che, viceversa, essere donatore renda più felici, incrementare le donazioni fa bene alla società.
In Italia, da un lato si richiedono parametri di qualità sempre più alti, e questo va bene, perché aumenta la sicurezza per il donatore e per chi riceve il sangue; dall’altro non si immette denaro nel settore sanitario, anzi si tagliano le risorse e non si instaura un sistema di controlli efficiente e omogeneo su tutti i livelli del settore, come denunciavamo in un post recente. Cosa succederà quando, oltre ai soldi, sarà il sangue a finire? Saremo costretti a comprarlo tutto dall’estero, invece dell’attuale 40 per cento (parliamo di plasma per plasmaderivati). Ma con quali soldi? Ci ripetiamo, lo facciamo periodicamente, specie nel periodo estivo, quando la mancanza di programmazione mette in difficoltà alcune realtà (non la nostra), lasciando parte del territorio nazionale in situazione di emergenza sangue. Senza campagne di comunicazione non c’è raccolta. Lo andiamo ripetendo da anni ormai, eppure non vediamo sforzi in tal senso. Se non si investe su iniziative di comunicazione su scala nazionale non ci avvicineremo mai all’autosufficienza, anzi saremo costretti ad aumentare la percentuale di acquisti dall’estero. Parola di Avis comunale, e cioè di una struttura aperta tutti i giorni (un solo giorno di chiusura estiva, Ferragosto) ai problemi della realtà locale. Con la programmazione, la promozione territoriale, le campagne di comunicazione, con i nostri periodici, abbiamo creato una comunità di persone unite dalla donazione. Chissà cosa potremmo ottenere su scala più grande, se anche i mezzi a disposizione di Avis fossero altrettanto accresciuti. Ma meglio non pensarci e tornare con la testa sotto l’ombrellone, ché il sole fa venire strane idee.
il ricercatore berlinese, ha assolutamente ragione in quanto( nel mio caso )provo esattamente un sentimanto di felicita’ogni volta che faccio una donazione di sangue, mi rendo conto di poter fare qualcosa per qualcuno a priori !!
bisognerebbe davvero sensibilizzare di piu’ la societa attraverso qualsiasi mezzo di comunicazione e creare delle associazioni speciali….
w la vita !!!!!
elena re.
Ciao Elena e grazie per il tuo commento, che ci fa pensare che la ricerca, se condotta in Italia, darebbe gli stessi risultati.
Noi di Avis, in quanto associazione di associazioni, ci sentiamo un po’ “speciali”, ma sulla sensibilizzazione ci aspetteremmo maggiore progettualità da parte delle Avis di coordinamento.
assolutamente vero: chi è felice dona con il cuore. purtroppo, in questo difficile periodo di crisi occupazionale il pensiero di donare è un po’ distante dalla vita quotidiana sopraffatta da preoccupazioni grandi: chi perde il posto di lavoro ed ha una famiglia alle spalle da mantenere non è così “ben predisposto” per andare a donare anche se la donazione ti dà sicuramente un senso di appagamento e soddisfazione grandissimi.
Grazie Mina, la situazione purtroppo è quella che descrivi. Come scritto sopra, una maggiore progettualità sulla comunicazione potrebbe arginare gli effetti della crisi.