Il 29 febbraio si è celebrata la Giornata delle malattie rare. La scelta del giorno più “raro” nel nostro calendario, che si ripete solo ogni quattro anni, non è casuale, e rimanda proprio all’eccezionalità con cui migliaia di patologie colpiscono le vite di una piccola percentuale di persone. Quando si guarda al dato reale, però, i numeri non appaiono più così piccoli. Si tratta di «oltre 8mila malattie rare che colpiscono dalle 670mila al milione e mezzo di persone – secondo Vita.it –. Tante si stima siano nel nostro Paese quanti convivono con una condizione di patologia rara. L’80 per cento delle malattie rare è di origine genetica e spesso si tratta di patologie croniche e potenzialmente mortali. Si definisce rara una malattia quando colpisce non più di 5 persone ogni 10mila persone. All’interno di queste patologie si collocano anche quelle ultra-rare o rarissime che colpiscono meno di una persona ogni milione».
La buona notizia è che da quest’anno è stato attivato, in seno all’Istituto superiore di sanità, il Registro nazionale delle malattie rare, «uno degli strumenti fondamentali per l’individuazione dei centri di eccellenza che in base a una recente direttiva europea entreranno a far parte degli European Reference Networks – si legge sul sito del Ministero della salute – che costituiranno le reti di eccellenza europee per la diagnosi e la cura dei pazienti con patologia rara». Le malattie rare che riguardano il sangue sono i casi che si registrano con maggiore frequenza in Italia. Essi «costituiscono il 15 per cento delle segnalazioni raccolte dal Registro, seguiti dalle malformazioni e dalle patologie dello sviluppo con disabilità intellettuale che raccolgono dati relativi a più di 80 patologie. Al terzo posto le patologie dell’occhio con circa il 10 per cento delle segnalazioni».
La grande difficoltà che deve affrontare chi è affetto da una malattia rara è prima di tutto la corretta diagnosi, che può arrivare anni dopo la rilevazione dei primi sintomi. L’altro grosso problema è costituito dalla carenza di farmaci che, data la bassa incidenza di questo tipo di malattie, godono di un minore apporto in termini di ricerca e sviluppo da parte delle case farmaceutiche. In merito al primo fenomeno, Redattore Sociale spiega che «Il 40 per cento dei pazienti […] riporta di avere ricevuto inizialmente una diagnosi errata con conseguenze drastiche come interventi sanitari inadatti, inclusi chirurgia o cura psicologica. Un malato su quattro racconta di essere stato costretto a spostarsi da una regione all’altra per ricevere una diagnosi e il 2 per cento di essere addirittura stato costretto ad un viaggio in un altro paese. Nel 33 per cento dei casi la diagnosi è stata annunciata in condizioni carenti e nel 12,5 per cento dei casi, in circostanze giudicate “inaccettabili”».
Dal punto di vista degli sforzi per individuare cure e terapie efficaci contro questo tipo di patologie, esiste un coordinamento europeo che riunisce vari Paesi e cerca di trovare linee guida e politiche comuni con le quali fare pressione sulla politica, in modo che sposti attenzione e risorse anche verso questi importanti problemi. «Con oltre 800 partecipanti da 40 Paesi, la Conferenza Europea sulle Malattie Rare e i Farmaci Orfani (Ecrd) [che quest’anno si riunirà a Edimburgo dal 26 al 28 maggio] è l’unica piattaforma/forum che abbraccia tutte le malattie rare, in tutti i Paesi europei e che riunisce tutte le parti interessate: rappresentanti dei malati, esponenti del mondo accademico, professionisti del settore sanitario, industria, cittadini, organi regolatori e politici». In Europa gli investimenti per la ricerca in questo campo sono stati circa 800 milioni di euro, ma si può e deve fare ancora di più: «Nell’ambito del settimo programma quadro per la ricerca (2007-2013), sono stati stanziati 620 milioni di euro in supporto di circa 120 progetti di ricerca collaborativa sulle malattie rare un po’ in tutti i campi: dalla genetica molecolare a malattie metaboliche, neurologia, patologie neuromuscolari, disturbi ematologici, urologia, salute mentale, oftalmologia e dermatologia».
Tra le iniziative di sensibilizzazione di quest’anno, non è mancata una campagna social. L’invito è a realizzare un video (c’è tempo fino al 5 marzo) in cui far sentire la propria voce (con un urlo) e poi condividerlo sui propri canali social col meccanismo della menzione (un po’ come l’Ice bucket challenge, vi ricordate?) con l’hashtag #UniamoLaVoce. La galleria degli urli sarà poi raccolta sul sito www.uniamolavoce.org (http://www.uniamolavoce.org). «L’obiettivo di questa edizione – ha spiegato Nicola Spinelli Casacchia, presidente Uniamo Fimr onlus – è fare in modo che la voce di che vive con una malattia rara venga ascoltata. Vogliamo che venga riconosciuto il ruolo cruciale che i pazienti possono avere nel migliorare la loro vita e quella di chi li assiste esprimendo in prima persona le proprie esigenze nei tavoli decisionali».