Il 25 marzo ricorrono sessant’anni dalla firma del Trattato di Roma, che istituiva la Cee (Comunità economica europea). L’Europa unita ha dunque un’età di tutto rispetto. Ma qual è lo stato di salute del progetto? A giudicare dalle tante istanze nazionaliste e separatiste che stanno godendo di particolare vigore nell’ultimo periodo, sembra che il passaggio dalla comunità economica a quella politica sia lontano dall’essere compiuto. Proprio in questi giorni comincerà ufficialmente il processo di uscita del Regno Unito dall’Ue, un fenomeno che indubbiamente, a livello di immagine, indebolisce maggiormente la seconda delle due. Se è ancora tutto da valutare l’impatto di Brexit sull’economia britannica, il patto europeo si ritrova orfano di un membro di grande importanza economica e politica.

Quasi dappertutto, partiti e movimenti che prevedono nel proprio programma l’uscita dall’Europa o dall’euro non hanno mai goduto della forza di cui godono adesso. Inoltre, la situazione di emergenza relativa al grandissimo numero di profughi che si sono riversati sul continente nei mesi scorsi ha dato nuova legittimazione a chi propone un’ulteriore stretta alla circolazione di persone. La globalizzazione e le conseguenze della crisi del 2008 hanno poi contribuito ad alimentare sentimenti negativi verso il mercato libero e verso tutte le limitazioni all’intervento degli Stati in economia previste dai trattati europei. Oltre ai nazionalismi, poi, non vanno trascurati i movimenti separatisti che chiedono, su base etnica o linguistica, l’indipendenza dallo Stato di appartenenza. Una mappa elaborata nel 2014 mostra con efficacia come apparirebbe il continente se tutte le istanze separatiste fossero accolte. Sintetizzando, a guardare il quadro in questi termini non sembra proprio che l’Unione se la passi bene.

Ovviamente per molti aspetti il progetto europeo è stato ed è positivo, non fosse altro che per la prolungata stagione di pace e stabilità che ha garantito nel continente. Anche qui però bisognerebbe valutare il contesto in senso più ampio e capire se questa funzione di preservazione della pace potrà ancora essere efficace in caso di future tensioni.

Un docente di economia politica dell’università di Harvard, Dani Rodrik, individua in un suo intervento alcuni grandi fallimenti dell’Unione europea. Su tutti, il fatto che non si sia perseguita una direzione sociale per lo sviluppo del progetto: «L’Europa avrebbe potuto incoraggiare lo sviluppo di un modello sociale comune parallelamente all’integrazione economica, che avrebbe reso necessaria l’integrazione non solo dei mercati, ma anche delle politiche sociali, delle istituzioni del mercato del lavoro e delle disposizioni fiscali. La diversità tra i modelli sociali in Europa, unitamente alla difficoltà di raggiungere un accordo su regole comuni, avrebbe posto un freno naturale al passo e all’estensione dell’integrazione».

Dunque i limiti dell’Ue derivano proprio dai suoi pilastri fondativi, su tutti il fatto di partire da un’unione economica, pensando che poi quella politica sarebbe seguita: «All’inizio la strategia ha funzionato – prosegue Rodrik –: l’integrazione economica restava un passo avanti rispetto all’integrazione politica, ma non troppo avanti. Poi, dopo gli anni Ottanta, l’Ue ha fatto un salto nel buio, adottando un’ambiziosa agenda del mercato unico che puntava a unificare le economie europee, indebolendo le politiche nazionali che intralciavano la libera circolazione non solo di beni, ma anche di servizi, persone e capitali. L’euro fu la logica prosecuzione di questo programma. Fu una sorta di iper-globalizzazione su scala europea». Dunque forse è proprio questa sfasatura la chiave da cui partire per fare ripartire l’Unione: in qualche modo si deve ridurre la frattura, rallentando l’integrazione economica oppure incrementando quella politica, possibilmente cercando una maggiore legittimazione tra i cittadini e garantendo loro forme di partecipazione più avanzate.

Il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha compilato un Libro bianco sul futuro dell’Europa, in cui propone cinque scenari possibili. Sintetizzando, le strade proposte sono «proseguire con l’agenda attuale, concentrarsi solo sul mercato unico, consentire un’Europa a più velocità, ridimensionare l’agenda, o puntare all’ambizioso obiettivo di un’integrazione omogenea e più completa». Il problema è che forse nessuna delle cinque è realistica e percorribile. Provenendo da un europeista convinto come Juncker, il documento, più che una reale rassegna di proposte, è forse un invito a riflettere rivolto ai capi di Stato di tutta l’Unione. E non conviene temporeggiare troppo.

Fonte foto: flickr