gay
Fonte foto.

Nonostante due sentenze stabiliscano che alle coppie omosessuali sia riconosciuto il diritto a una vita familiare, in Italia manca ancora una legge a riguardo. Proprio su questa forbice che separa sentenze e leggi dello Stato si gioca la strumentalizzazione politica di chi vuol dirsi a favore o (soprattutto) contro. Accade così che il ministro dell’Interno Angelino Alfano emani una circolare in cui intima ai Comuni di smettere di effettuare le trascrizioni delle unioni celebrate all’estero (in quei Paesi depravati, tipo la Francia o la Norvegia, in cui coppie omosessuali possono sposarsi) e di annullare quelle già registrate. Da un certo punto di vista, nessuno nega ad Alfano di sollevare la questione. È il ministro dell’Interno e chiede che sia rispettata la legge. Da un altro punto di vista, ci sono questioni che stanno al di fuori dell’assetto normativo, che necessiterebbero di una risposta. Come mai, per esempio, il Parlamento non ha ancora votato una legge che renda possibili le unioni omosessuali in Italia? Non è sua prerogativa decidere se farlo o meno, visto che ci sono delle sentenze che esprimono orientamenti in questo senso da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, della Corte costituzionale e della Corte di cassazione.

Con la sentenza numero 138 del 2010, la Consulta ha stabilito, scrive Vladimiro Zagrebelsky su La Stampa, «che il diritto al matrimonio riconosciuto dalla Costituzione si riferisce a quello tra uomo e donna, ma che ciò non significa che sia ammissibile che unioni diverse siano irrilevanti per la legge (la rilevanza sociale è naturalmente diversa e vive per suo conto). I diritti di tutte le coppie non unite in matrimonio derivano infatti da quanto stabilisce il fondamentale articolo 2 della Costituzione, quando afferma che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità». Tale considerazione, scrive la Corte, «necessariamente postula una disciplina di carattere generale, finalizzata a regolare diritti e doveri dei componenti della coppia». Siamo nel 2010, sono passati quasi cinque anni, ma della «disciplina di carattere generale» neanche l’ombra. Eppure l’attuale ministro dell’Interno da allora ha sempre esercitato attività politica, senza per questo spingere affinché la questione entrasse nell’agenda politica del Parlamento, anzi. Chiariamo, da parte nostra non c’è assolutamente nulla di personale contro Alfano, ci rivolgiamo a lui solo in quanto autore di questo richiamo ufficiale alla disciplina, proprio a seguito dell’ennesimo passo avanti nel riconoscimento dei matrimoni gay negli Stati Uniti.

Per continuare nella disamina della materia, riprendiamo le parole di Stefano Rodotà, che illustra la decisione dell’altro organo giudiziario italiano: «La Corte di Cassazione è stata ancor più netta dei giudici costituzionali con una sentenza del 2012, riprendendo alcune conclusioni della Corte europea dei diritti dell’uomo, ha affermato che, essendo ormai venuto meno il requisito della diversità di sesso e poiché si è in presenza di un diritto fondamentale, le coppie formate da persone dello stesso sesso possono già rivolgersi ai giudici “per far valere, in presenza di specifiche situazioni, il diritto ad un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata”». Ecco perché, a suo avviso, quello delle trascrizioni non è un atto da condannare, come non lo è il fatto di dichiararsi contrari all’esecuzione della circolare ministeriale. Se Zagrebelsky conclude lapidariamente che «Si tratta palesemente di registrazioni che confliggono con le leggi in vigore in Italia», Rodotà adotta un punto di vista più ampio rispetto al ruolo che le istituzioni locali dovrebbero avere nei confronti dei cittadini: «La decisione di molti Comuni di ammettere la trascrizione di quei matrimoni non risponde ad un capriccio o ad una impuntatura ideologica. Fa parte di un modo di intendere la democrazia “di prossimità”, coerente con il ruolo attribuito in modo sempre più netto ai Comuni come istituzioni di frontiera, alle quali i cittadini possono immediatamente rivolgersi». Altra precisazione: «Bisogna comunque chiarire che la trascrizione si limita ad accertare l’esistenza di un matrimonio celebrato all’estero, senza attribuirgli efficacia nell’ordinamento italiano. Ma la trascrizione non è irrilevante perché, ad esempio, può rendere più agevole rivendicare i diritti che già la Corte di Cassazione ha riconosciuto in via generale a questa forma di unione».

La questione resta controversa, e non saremo certo noi a dire che i sindaci dovrebbero violare la legge. Forse è giusto che diano applicazione alla circolare, mettendosi a posto rispetto al diritto vigente. Dall’altra parte però vorremmo che, una volta annullate le registrazioni, il Parlamento si affretti ad approvare una norma sulla quale, rispetto alla società, si trova in palese ritardo.