Il 3 luglio è entrata in vigore la direttiva europea Single Use Plastic (Sup), che ha vietato la vendita tra gli stati membri di alcuni prodotti in plastica monouso spesso additati come tra i maggiori responsabili dell’inquinamento dei mari. Bisogna sottolineare che, se posate di plastica e altri oggetti arrivano nei mari e sulle coste, è perché qualcuno li abbandona, al netto di pratiche illecite nella gestione dei rifiuti.

In ogni caso, dal 3 luglio è vietata la vendita (salvo esaurimento scorte) di cannucce, cotton fioc, piatti e posate, palette da cocktail, bastoncini dei palloncini, contenitori per alimenti e bevande in polistirolo. Come tutte le direttive europee, la Sup deve essere recepita da una legge nazionale per entrare pienamente in vigore, cosa che in Italia è avvenuta per tempo.

Oltre i divieti

Come fa notare Lifegate, la norma non nomina alcuni prodotti, la cui vendita resta quindi consentita: i bicchieri in plastica usa e getta, i dispositivi di protezione individuale (mascherine e guanti), i palloncini, la carta plastificata. Su quest’ultimo punto, «Le linee guida pubblicate a maggio vietavano anche gli imballaggi plastificati, con un contenuto di polimero inferiore al 10 per cento. Dopo essersi confrontato con il ministro italiano della Transizione ecologica Roberto Cingolani, però, il vicepresidente esecutivo per il Green deal europeo Frans Timmermans si è impegnato a “salvarli”».

Il testo della direttiva va oltre i divieti e si occupa anche di disciplinare l’uso di altri prodotti, pur non vietandoli. «Alcuni prodotti – come i contenitori per alimenti – formalmente restano permessi, ma gli stati membri dovranno disincentivarli – scrive Lifegate –. Ciò significa, per esempio, impedire che siano offerti gratuitamente e mettere a disposizione alternative riutilizzabili. Sulla confezione di alcuni prodotti bisognerà comunicare la presenza di plastica, spiegando al consumatore come smaltirla correttamente. Questa disposizione si applica ad assorbenti, tamponi igienici e applicatori per tamponi; salviette umidificate; sigarette, sigari e relativi filtri; tazze per bevande».

Per quanto riguarda sacchetti leggeri, contenitori per alimenti, attrezzi da pesca, pacchetti e involucri, prodotti del tabacco con i rispettivi filtri, salviette umidificate, palloncini, contenitori e tazze per bevande con i rispettivi tappi e coperchi, i produttori dovranno sobbarcarsi i costi di smaltimento e trattamento. Inoltre si raccomanda di sensibilizzare le persone sul grande impatto ambientale della plastica monouso.

La questione delle bioplastiche

Inizialmente la direttiva europea includeva anche le plastiche a base organica e biodegradabili. «La linea dura adottata dalle istituzioni diventa più comprensibile alla luce del fatto che la dicitura “compostabile” ci indica che un piatto o un cucchiaino, dopo l’uso, va destinato agli impianti appositi; se finisce in mare, come spesso accade, può comunque fare danni». La cosa ha generato proteste soprattutto in Italia, che produce i due terzi della plastica biodegradabile europea. Alla luce di diversi fattori, la richiesta di deroga è stata accettata e dunque si continueranno a produrre e vendere stoviglie in bioplastica compostabile.

È importante però sottolineare che ricorrere troppo spesso a oggetti usa e getta, per quanto in materiali eco-compatibili, è una pratica scorretta, che va disincentivata. «Quando dieci anni fa sono stati banditi i sacchetti per la spesa in plastica, non c’è stata una sostituzione “uno a uno” – ha detto il presidente di Legambiente Stefano Ciafani –. Grazie a quella legge, l’uso dei sacchetti usa e getta è crollato del 70 per cento e portarsi da casa una borsa riutilizzabile è diventato la normalità. Ora deve succedere esattamente la stessa cosa. Non si può assolutamente pensare che il prodotto monouso in plastica tradizionale debba essere sostituito da un analogo prodotto monouso, ma compostabile».

Quanto inquina la plastica monouso sulle spiagge

Per capire la rilevanza del problema, Silvio Puccio ha messo in fila alcuni dati sul blog InfoData del Sole 24 Ore. Come si può vedere dal grafico qui sotto, realizzato su dati di Legambiente rielaborati da Statista, frammenti plastici e mozziconi di sigaretta sono i rifiuti più comuni sulle spiagge italiane (14 per cento ciascuno). Seguono a breve distanza il polistirolo (12 per cento) e poi tappi (7 per cento). Stoviglie, bottiglie in plastica, sacchetti e bastoncini cotonati contribuiscono complessivamente (e in egual misura) per il 12 per cento.

«L’84 per cento dei rifiuti trovati sulle spiagge deriva dalla plastica – scrive Puccio –. È il risultato dell’indagine Beach litter, condotta [da Legambiente] in 13 regioni per catalogare l’immondizia dispersa lungo il litorale italiano. L’edizione 2021 del rapporto evidenzia gli effetti ambientali dell’emergenza Covid: nel 26 per cento delle spiagge monitorate sono stati ritrovati guanti in plastica monouso, “mascherine o altri oggetti riconducibili all’emergenza sanitaria Covid-19”, si legge. Oggetti che, com’è ovvio, non rientrano nella messa al bando europea di recente recepita dall’Italia».

(Foto di Marta Ortigosa su Pexels)

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