In questi giorni si sta tornando a parlare di super ticket e della possibilità di abolirlo. Si tratta di una tassa introdotta nel 2011, che da allora aggiunge un costo di 10 euro (ma può variare da zero a 30 euro a seconda delle regioni) ad alcune prestazioni sanitarie. Molte associazioni sono da tempo impegnate a fare pressione sulla politica affinché la misura sia ritirata. Tra queste Ipasvi: «Il superticket è una delle tante tasse emergenziali che caratterizzano i bilanci italiani – ha detto Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi, che raccoglie gli oltre 440mila infermieri che operano in Italia –. E come tutte queste tasse una volta inserito non se ne va più. Il fatto è che non ha portato risultati economici significativi e che già molte Regioni hanno chiesto di poterlo abolire, ma poiché è una decisione introdotta con una legge nazionale, solo una legge nazionale può toglierlo».
Anche l’associazione Cittadinanzattiva ha fatto propria la causa, arrivando a raccogliere 35mila firme con una petizione rivolta al Ministero della salute. «Noi chiediamo l’abrogazione del super ticket sulla ricetta che, in origine, era una misura temporanea introdotta nel 2011 e diventata poi definitiva, che rappresenta una vera e propria tassa sulla salute – ha detto Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva e responsabile Cnamc (Coordinamento nazionale delle associazioni dei malati cronici) –. Questo super ticket ha provocato uno squilibrio nel Servizio sanitario nazionale: intanto per alcune prestazioni, quelle a più basso costo, il combinato disposto del super ticket con i tempi d’attesa fa sì che il ricorso al privato sia la via concorrenziale rispetto al pubblico. Questo è uno squilibrio che va rimosso perché il servizio sanitario pubblico dovrebbe essere sempre la prima scelta per i cittadini».
Questa distorsione è rilevata anche da un articolo di Domenico De Matteis e Giuliano Resce per Lavoce.info: «La misura ha l’obiettivo dichiarato di migliorare l’equilibrio economico-finanziario delle regioni, ma può generare tre gravi problemi al sistema sanitario: 1) la fuoriuscita di alcune prestazioni dal sistema pubblico; 2) la rinuncia alle cure più costose per una parte della popolazione; 3) una paradossale diminuzione delle entrate pubbliche». Il problema è che in alcuni casi il super ticket va a sommarsi ad altri ticket già vigenti, gonfiando il costo complessivo della prestazione per il cittadino, che quindi sarà indotto a rivolgersi al privato, dove i tempi di attesa sono decisamente ridotti. Inoltre, l’autonomia regionale in tema di sanità fa sì che la tassa sia applicata in maniera molto diversa lungo il territorio nazionale, generando così una situazione di disuguaglianza: «Buona parte delle regioni applica il super-ticket in modo indiscriminato con una tariffa di 10 euro (Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lazio, Abruzzo, Molise, Puglia, Calabria e Sicilia); alcune di quelle a statuto speciale rinunciano ad applicarlo (Valle d’Aosta, Sardegna, province di Trento e di Bolzano); le regioni più attente all’equità hanno ticket progressivi in base al reddito, che possono variare da zero fino a 15 euro per i più alti (Emilia Romagna, Umbria, Toscana, Veneto e Marche); mentre le regioni più attente al funzionamento dei mercati modulano il ticket in base al costo della prestazione, tanto che il super-ticket può raggiungere addirittura i 30 euro (Lombardia, Piemonte, Basilicata e Campania)».
La conclusione dei due ricercatori è che il super ticket abbia fallito la sua missione, e che quindi vada messo da parte: «Il ticket dovrebbe essere utilizzato per responsabilizzare gli utenti sul costo del servizio sanitario. Il super-ticket però non svolge questa funzione: così come è strutturato, non favorisce il contenimento del consumo eccessivo, ma potrebbe disincentivare i consumi di servizi necessari per i cittadini. In più, le tariffe applicate in alcune regioni rischiano di violare il principio di universalità del servizio sanitario nazionale sancito nell’articolo 32 della Costituzione, accentuando il rischio di forti disuguaglianze nell’accesso ai livelli essenziali di assistenza. Per tutte queste ragioni andrebbe semplicemente eliminato». Vedremo quali novità ci saranno se è vero, come sostengono alcuni, che il Ministero starebbe effettivamente valutando l’ipotesi di abolirlo, compensandolo però con l’introduzione di un pagamento per i codici verdi in pronto soccorso.
Fonte foto: flickr