In questi giorni le notizie di violenze di uomini sulle donne stanno riempiendo le prime pagine dei giornali come non mai. Segno che il problema è al suo apice? Difficile stabilirlo. Vorrà forse dire che giornalisti, opinionisti e altri vari -isti hanno deciso di porre definitivamente l’attenzione sul problema e farsi carico della sua soluzione (o se non altro attenuazione)? Improbabile. È facile invece che stiamo assistendo a una dinamica di strumentalizzazione della questione. C’è quest’onda, e va cavalcata finché produce interesse, vendite, ascolti, clic, ecc. Poi, come tutti i falò, anche questo si spegnerà e il fenomeno tornerà nel mondo sommerso in cui normalmente vive e, purtroppo, prospera.
L’esperta di comunicazione Giovanna Cosenza si è posta il problema sul proprio blog e ha notato che, quando esso entra nell’agone mediatico, si espone al rischio delle obiezioni più sfacciate (le si potrebbe chiamare abiezioni, talvolta), tipiche degli argomenti polarizzanti (oggi si direbbe “divisivi”, ma è un termine orrendo). C’è chi, con grande tranquillità, afferma che parlarne non serva a nulla, raccogliere firme o scrivere articoli non aiuterà a risolvere il problema. C’è poi chi minimizza: i numeri citati non sono verificabili, e poi ci sono altri fenomeni che causano molte più vittime, stiamo esagerando. Ancora: ma avete visto come sono messi altri Paesi? E poi, non dimentichiamo che ci sono anche le donne che ammazzano gli uomini, perché di quelle non si parla? Effettivamente questa carrellata di obiezioni mette in luce un fatto: il problema è complesso.
È vero che non si risolve con una raccolta firme, ed è vero che ci sono altri Paesi al mondo in cui la donna subisce una condizione di maggiore esposizione alla violenza maschile. Ma è la risposta a queste istanze a essere sbagliata. Minimizziamo il problema solo perché altrove si sta peggio? Ne ignoriamo l’entità solo perché anche le donne, talvolta, uccidono? Crediamo proprio di no. Innanzitutto va rilevato che la causa del femminicidio (bisognava inventare una parola apposta? Forse no, anche questo andrebbe discusso) è di origine culturale, e quindi dal punto di vista culturale bisogna agire. La politica può fare molto, in termini di investimenti, per correggere questa deriva. La società civile può fare (e fa) molto per intervenire sul territorio e sulle comunità locali. Ma anche ognuno di noi può (e deve) dire la sua.
Quando, tra uomini, qualcuno fa commenti sessisti o maschilisti, è sbagliato essere accondiscendenti, lasciar correre, o peggio ancora dare segni di complicità. Le violenze sulle donne nascono dall’idea che la donna sia terra di conquista, oggetto di commento libero e impunito. Nascono da quegli sguardi lanciati incrociandosi sul marciapiede di qualsiasi città, quando l’occhio maschile percorre il corpo femminile senza alcun rispetto per la sua “sacralità” (da intendere in senso lato, non necessariamente religioso). E quindi è bene che di violenza sulle donne si continui a scrivere, parlare, ragionare. Senza fini secondi, senza pietismo né ipocrisia. È bene che ne parlino gli uomini e le donne, e soprattutto che queste ultime si sentano sempre più legittimate a denunciare, a smettere di accettare le piccole o grandi violenze che ogni giorno si consumano nel silenzio domestico.