Noi italiani siamo così abituati a percepirci come popolo pieno di vizi, più che di virtù, che ogni tanto fa bene smentire (o meglio: scalfire) qualche luogo comune. Secondo l’Inps, infatti, solo nel 9 per cento dei casi, su base nazionale, le visite fiscali hanno come esito una riduzione della prognosi del malato. 9 “furbetti” su 100 insomma, per scovare i quali si sono spesi 50 milioni di euro nel 2012. Il dato assume contorni molto diversi nelle diverse parti della penisola: al Nord il periodo di malattia viene ridotto meno di tre volte su 100, una cifra che potremmo definire fisiologia e difficilmente contrastabile. Al Sud l’incidenza sale: 16,7 per cento in Sicilia, 18,4 per cento in Campania, 39,9 per cento in Calabria. Il fenomeno è tutt’altro che superato quindi, ma se non altro è necessario rimodulare la spesa, e ripensare certe brutte abitudini che, con “sindrome di Tafazzi”, siamo soliti attribuire ai nostri concittadini (a noi stessi mai, per carità).

Le visite fiscali Inps saranno ridotte drasticamente per effetto dei tagli previsti dalla legge di stabilità, passando dalle circa 900mila del 2012 alle circa 100mila di quest’anno. Come sempre in questi casi, quelli che già tradivano la fiducia dei rispettivi datori di lavoro (ma anche dei colleghi perché, quando mansioni e scadenze non possono aspettare, il lavoro extra ricade sulle spalle di chi in ufficio ci va) si staranno già fregando le mani, mentre chi era a posto con la propria coscienza continuerà a esserlo. L’effetto deterrente dell’aumento di controlli e punizioni ha come conseguenza un’iniziale successo, ma poi sul lungo periodo è difficile che aiuti a superare i problemi. E infatti, nell’articolo di Vita da cui stiamo prendendo i dati, è scritto chiaramente: «Nel settore pubblico la “cura Brunetta” ha agito sia inasprendo i controlli sia penalizzando economicamente le assenze. Dopo uno shock iniziale però, il suo effetto sembra essersi fermato. I giorni persi ogni mese per malattia dai dipendenti sono scesi dagli 1,32 di ottobre 2007 agli 0,91 di ottobre 2010, ma da allora a ottobre 2012, ultimo dato disponibile, sono rimasti costanti».

Insomma, a trent’anni dall’uscita del film “Fantozzi subisce ancora”, forse possiamo mettere in soffitta la parodia di un’Italietta meschina dedita all’elaborazione di complessi artifici per esercitare i propri hobby più sfrenati durante l’orario lavorativo, rigorosamente dopo aver timbrato il cartellino in entrata. Certo non è ancora possibile sottoscrivere quanto dice la voce fuori campo nella scena più celebre del film, ossia che «Con l’alternarsi di saggi governi, il popolo italiano ha ormai raggiunto un alto grado di maturità. I lavoratori, operai e impiegati, hanno finalmente capito che la produttività è alla base del benessere sociale e l’unica strada per uscire dalla crisi. Oramai, le due grandi piaghe dell’assenteismo e del secondo lavoro che tanti danni hanno provocato all’economia italiana possono dirsi, finalmente, vinte e debellate». Le immagini seguenti sono tutte volte a smentire tali parole, e mostrano impiegati intenti a calarsi dalla finestra con imbragature da arrampicata per recarsi nei luoghi più disparati a coltivare le proprie passioni, dal surf alla caccia.

Il problema è che in questo piccolo universo tutto il sistema si regge su un perno fondamentale, ossia il povero ragioner Fantozzi, che assume le sembianze e le mansioni di tutti gli assenti in modo da gabbare i controlli del temibile ispettore. Anche allora si parlava di crisi, ma con una differenza fondamentale: Fantozzi -e i suoi omologhi di quegli anni- lavorava per tutti e subiva ogni tipo di umiliazione, ma uno stipendio dignitoso lo portava a casa, con tanto di contributi e tredicesima. Oggi Fantozzi forse non avrebbe nemmeno la certezza di poter dare casa e cibo alla sua famiglia, e allora, se dovesse uscire un eventuale nuovo episodio della saga (e ci auguriamo che ciò non accada mai), potrebbe intitolarsi “Anche Fantozzi, nel suo piccolo, s’incazza”.