La comprensione della realtà, nella Striscia di Gaza sotto assedio, si basa spesso sulle narrazioni frammentarie filtrate dai media internazionali. Una recente tavola rotonda, intitolata “Gaza, le parole per dirlo”, che si è tenuta durante il Festival internazionale del giornalismo di Perugia, ha offerto uno sguardo sulle sfide che i giornalisti devono affrontare per raccontare questa realtà in modo accurato e, per quanto possibile, obiettivo. La discussione ha riunito prospettive dal campo e da fuori, offrendo un quadro di un conflitto drammatico avvolto dalla sfida per riuscire a rappresentarne l’orrore.

La tavola rotonda, moderata da Francesca Caferri di Repubblica, ha visto la partecipazione di Roberto Zichittella dell’Osservatore Romano e di Safwat Kalot, giornalista di Gaza che in passato ha lavorato come produttore e fixer per i media italiani e che ora vive in Italia. Zichittella ha riflettuto sulle grandi difficoltà che i giornalisti incontrano nel descrivere la crisi in corso dall’ottobre 2023.

Un grosso ostacolo per i giornalisti, come sottolineato da Zichittella, è l’impossibilità di accedere a Gaza, poiché Israele ne ha vietato l’ingresso. Questo costringe i giornalisti a fare affidamento su telefonate, video e informazioni provenienti da chi si trova all’interno della Striscia, rendendo la verifica dei fatti estremamente difficile in mezzo a un diluvio di fake news provenienti da ogni parte. Questa restrizione, ha sostenuto Zichittella, è controproducente anche per Israele, poiché un reportage indipendente potrebbe far luce anche sulle azioni di Hamas all’interno di Gaza.

Inoltre, il linguaggio usato per descrivere la realtà di Gaza è oggetto di forti contestazioni. La ricorrente accusa di antisemitismo nei confronti di chiunque critichi le politiche del governo israeliano ostacola un’informazione aperta e onesta. Perfino Papa Francesco ha dovuto affrontare tali accuse dopo aver espresso il desiderio di capire se il termine “genocidio” si applicasse alla situazione di Gaza. I relatori si sono confrontati con le sfumature del termine “terrorismo”, chiedendosi se sia in grado di catturare adeguatamente il complesso fenomeno socio-politico di Hamas. Come ha notato Caferri, la scelta tra “miliziano” e “terrorista”, o “ostaggio” e “prigioniero”, è molto significativa.

Un aspetto particolarmente importante della discussione è stato l’attacco ai giornalisti a Gaza. Kalot ha dichiarato che, in questo conflitto, sono stati uccisi oltre 209 giornalisti palestinesi, spesso deliberatamente presi di mira per la loro attività giornalistica e la loro presenza sui social media. Ha espresso la delusione collettiva dei giornalisti di Gaza per l’assenza di gesti di solidarietà significativi nei loro confronti da parte delle controparti occidentali. Si aspettavano una reazione più forte e azioni più concrete per proteggerli, in linea con la solidarietà globale dimostrata dopo gli attacchi ai giornalisti in altre parti del mondo.

Entrambi i relatori hanno espresso un po’ di autocritica riguardo alla copertura mediatica occidentale. Zichittella ha suggerito che la copertura mediatica occidentale del conflitto potrebbe aver trascurato la lunga storia del conflitto, compreso il numero significativo di morti palestinesi in Cisgiordania prima del 7 ottobre, accettando inconsciamente una narrazione solo israeliana su tale data. Ha inoltre osservato che, per molti israeliani, la relativa tregua del conflitto negli ultimi anni ha portato a dimenticarne le questioni di fondo.

Nonostante la situazione, Zichittella ha sottolineato che ci sono piccole sacche di speranza, evidenziando la resilienza degli abitanti di gaza e le voci dissenzienti all’interno della società israeliana.

La tavola rotonda riconoscendo l’immensa sfida di riuscire a trasmettere nel modo giusto la realtà di Gaza. Zichittella ha riflettuto sulla difficoltà di trasmettere l’entità delle sofferenze e ha suggerito che forse “un po’ di pigrizia e di provincialismo” hanno contribuito alle carenze nella copertura. Ha sottolineato che una pace duratura richiede un cambiamento fondamentale nella comprensione culturale e nel rispetto reciproco, al di là degli accordi politici.

La discussione ha ricordato con forza il costo umano dell’assedio di Gaza e il ruolo cruciale, per quanto difficile, del giornalismo nel testimoniare e tentare di descrivere le realtà indicibili del campo per un pubblico lontano. Le riflessioni dei relatori hanno sottolineato l’urgente necessità di una comprensione più approfondita e completa del conflitto israelo-palestinese, superando le narrazioni semplicistiche e riconoscendo la profonda sofferenza di tutte le persone coinvolte.

(Foto di Virginia Marcuzzo su Unsplash)

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